Presso il palco
di Castel Sant’Angelo all’interno della rassegna teatrale del
Roma Fringe Festival, è andato in scena Cute. Ideazione,
scenografia e coreografia : Lisa Rosamilia. Musiche e sonorizzazioni:
Giada Bernardini Tecnico alla scenografia: Fabio Sabaino. Compagnia
matroos – Associazione Pescatori di poesia. Spettacolo di teatro-danza.
Sulla scena una parete…una tela, no, è la nostra pelle, il nostro
tessuto epidermico che riempie tutta la scena. La cute che ti
protegge, ti accoglie in un abbraccio totale e totalizzante, ti
nasconde allo sguardo esterno, nasconde ciò che senti, dentro, fino
a quando la forza dirompente dei sentimenti cerca di uscire dalla tua
stessa pelle e nello sforzo la cute si lacera, crea dei solchi,
sanguina. Un corpo che risponde a stimoli esterni reagendo con
collera, stupore, esitazione. Tutto inizia con delle piccole parti di
se, si intravedono le dita di una mano, poi quelle di entrambe le
mani, che escono, da una piccola fessura (ferita). Le dita creano lo
spazio per le mani che a loro volta lo creano per le braccia che
finalmente possono uscire e quando si trovano in accordo riescono
persino ad abbracciarsi. Si allungano, si ritraggono, si cercano, si
trovano, per poi sparire sottraendosi nuovamente ai nostri occhi.
Altra ferita ed ecco un’ altra parte di se che fa la sua comparsa,
i piedi. Piedi, che diventano gambe, piedi che si sono sentiti presi
in causa perché anche loro sono curiosi, irritati, riflessivi,
tentennanti proprio come gli arti superiori facenti parte dello
stesso corpo. Parti del proprio corpo che ancora non si toccano, che
ancora sono distanti. Appaiono e scompaiono prima l’una poi l’altra
ma non vanno mai insieme. Un volto si intravede dietro un velo (cute)
proprio come era successo in precedenza a mani e piedi, ogni parte
del corpo che compie il suo viaggio è sempre avvolta da uno strato
di tessuto color ocra metafora della nostra epidermide. Ogni parte
del nostro corpo (perché il corpo che intravediamo/ vediamo diventa
il nostro corpo) ha il suo luogo designato in cui si muove e da cui
tutto vede nelle diverse prospettive. Mani, braccia, piedi, gambe,
faccia, ed ora, una schiena, dei seni, un corpo che va verso la sua
interezza. Lo spettacolo si conclude nella sua nascita. Il volto, il
collo, le spalle, il petto, l’intero corpo si fa strada attraverso
una fessura(utero materno). Esce, ma è ancora bloccato da uno strato
di tessuto (placenta) che ha creato un tunnel in cui l’intero
corpo è ancora avvolto. Un ultimo sforzo ed ecco un corpo, libero,
che pulsa all’unisono. Un corpo, a pezzi, che a livello
drammaturgico compie un percorso di riappropriazione di se
attraverso il ricongiungimento di tutte le proprie parti.
Francesca Cipriani
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