sabato 6 giugno 2015

Riflessi letterari: solitudine e sogno da "Il grande Gatsby"

  Eppure questo atteggiamento non ci è per nuovo. E per quanti di voi la fantasia domina la realtà riempendola di decorazioni? Ciò rappresenta la delizia ed il supplizio di ogni sognatori: vivere grandi fasti immaginari, morire soli in un castello reale. Riportiamo questi tre estratti tratti da Il Grande Gatsby (recensione), un romanzo del 1925 dello scrittore statunitense F.S. Fritzgerald. Esistono diverse versioni cinematografiche (la più recente delle quali con Leonardo Di Caprio e Carey Mulligan), nonché un allestimento teatrale e persino un'opera musicale.




  "Quando mi avvicinai per salutare vidi che l'espressione scontata era ritornata sul viso di Gatsby, come se fosse stato attraversato da un lieve dubbio sulla sua attuale felicità. Quasi cinque anni! Ci dovevano essere stati momenti, perfino in quel pomeriggio, in cui Daisy non era stata all'altezza dei suoi sogni - non per colpa sua, ma per la colossale vitalità della sua illusione. Era andato oltre lei, oltre tutto. Si era gettato in quella storia con una passione creativa, accrescendola continuamente, ornandola con tutte le piume più colorate trovate sulla sua strada. Non c'è fuoco o gelo che possa sfidare ciò che un uomo può immagazzinare nella sua anima" (...)

(...) "Era James Gatz quello che stava bighellondando sulla spiaggia quel pomeriggio con un vecchio maglione verde e dei pantaloni di tela, ma era già Jay Gatsby quello cheprese in prestito una barca a remi, accostò al Tuolomee e informò Cody che poteva essere sorpreso dal vento e affondare in mezz'ora.
   Immagino che avesse avuto il nome pronto da tempo, perfino allora. I suoi genitori erano contadini incapaci e falliti - la sua immaginazione non li aveva mai accettati come genitori. La verità è che Jay Gatsby di West Egg, Long Island, scaturiva dalla sua platonica concezione di se stesso. Era un un figlio di dio - una frase che, se significava qualcosa, significava proprio questo - e doveva occuparsi degli affari del Padre, servire una vasta, volgare e falsa bellezza. Perciò inventò questa storia di Jay Gatsby che giusto un ragazzino di diciassette anni poteva inventare e vi restò fedele fino alla fine." (...)

 (...) "Ma il suo cuore era in costante e turbolenta rivolta. Le più grottesche e fantastiche ambizioni lo braccavano la notte nel letto. Il suo cervello tesseva un universo di ineffabile lusso mentre l'orologio ticchettava sul lavabo e la luna bagnava di luce i suoi vestiti ammucchiati sul pavimento. Ogni notte accresceva quest'intreccio di fantasie finché la sonnolenza non si chiudeva con un abbraccio incurante su qualche vivida scena. Per qualche tempo questi sogni ad occhi aperti gli procurarono uno sfogo per la sua immaginazione; erano un soddisfacente indizio dell'irrealtù della realtà, una promessa che la saldezza del mondo era di sicuro fondata sulle ali di una fata."




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