domenica 22 febbraio 2015

Terremoto al Tuscolano: al Teatro Kopó si ricorda l'Irpinia.

"Nella vita si vince o si perde, ma noi non lo sappiamo se abbiamo vinto o perso". Queste sono le note conclusive che portano al buio e fanno partire l'applauso finale dello spettacolo Il fulmine nella terra - Irpinia 1980. Ma dei vincitori riusciamo comunque a individuarli: Orazio Cerino, unico interprete della pièce, l'autore e regista Mirko Di Martino ed il Teatro Kopó che li ha selezionati ed ospitati. Un podio di vincitori nella settimana che ci ha restituito la parola e ci ha allietato l'animo con due bei monologhi. La serata è scossa dalla notizia della morte di Luca Ronconi, arrivata a fine spettacolo, ma questi ragazzi meritano un riconoscimento per il bel lavoro svolto anche in una serata così, perché il teatro sopravvive e va avanti. Niente di ronconiano, anzi, lo spettacolo si avvale di una sedia ed un attore e, diceva un altro maestro che non ha avuto la stessa fortuna di Luca: per fare teatro basta una sedia ed un attore. Anche lui aveva ragione. 

Una voce sola per scavare nelle macerie accumulate da trent'anni e disseppellire le ferite aperte di quel tragico 23 novembre 1980: i ritardi nei soccorsi, gli aiuti arrivati senza un criterio, lo spettro di quell'Italia piccola, piccola nel suo provincialismo, ingenua nel suo affidarsi alla mano di Dio; e poi morti e miseria. Narrazione allo stato puro, senza espedienti, senza trucchi, lo sguardo serio e una foto ricordo che svicola ricordando anche le canzoni di Heather Parisi, s'infiammava per l'oro di Mennea, ballava Miquel Bosè: un'Italia che canta e balla, un'Italia che soffre e trema, due parti che forse non sapevano l'una dell'altra ancora e forse ancora oggi non sanno riconoscersi. Posti dimenticati dalla mappa geografica e dai connazionali, paesi in cui l'acqua ancora fino al '69 si andava a prenderla in sella agli asini e dove non c'è futuro, ma c'è Dio. Trentacinque anni dopo Orazio Cerino e Mirko Di Martino riaprono la ferita di quella terra lacerata e ne traggono uno specchio, un riflesso lungo oltre trent'anni per provare a riallacciare i rapporti tra ieri e oggi: s'è vinto o s'è perso? 

Due nomination come miglior attore per Orazio Cerino, non certo a torto, un'ora di spettacolo senza un solo buio, qualche cambio luce per rifiatare un po' ma la fatica sembra non sentirsi affatto. Capacità polmonare invidiabile, lunghi periodi detti d'un fiato senza calare un solo tono e trema la terra, trema la platea. Si è lì, è come se si vedesse e udisse ogni cosa e le mani volessero scavare per togliere quelle macerie. Minimale, essenziale, giusto, l'emozione che sa infilarsi nei giusti punti, la voce che sa rimanere sospesa e accarezzarti, e scuoterti, e dipingere su una quarta parete immaginaria l'intero lungometraggio del terremoto dell'Irpinia; la sala che resta per tutto il tempo attenta, sospesa e per nulla annoiata malgrado l'argomento lo si prenda molto sul serio. Forse manca una vera impronta registica, ma non ce se ne accorge: un autore, un attore e una sedia talvolta bastano a creare l'illusione d'essere altrove. Lo spettacolo s'apre e si chiude allo stesso modo: una luce di taglio, Orazio Cerino seduto di spalle sulla sedia. Buio. E trema la terra dentro noi.
M. Di Stefano

IL FULMINE NELLA TERRA - IRPINIA 1980
scritto e diretto da Mirko Di Martino
con Orazio Cerino
Aiuto regia Melissa Di Genova

visto al

TEATRO KOPÓ
Via Vestricio Spurinna 47/49 - Roma - Metro Numidio Quadrato
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venerdì 20 febbraio 2015

To be or not to be Chaplin: e noi torniamo ad essere

Non Essere: là, dove avevamo messo a riposare le nostre parole che un tempo sgorgavano fluenti e poi hanno smesso d'essere. Per chi, per cosa, mancano le emozioni, gli stimoli, quasi un senso e una direzione. Caduti anche noi nell'oblio del non essere non abbiamo più trovato parole per poter raccontare, perché da tempo è venuta a mancare la scintilla che le generasse. E così siamo scomparsi anche noi, sebbene i vecchi articoli continuino a sopravvivere al proprio autore. S'è dovuti entrare al Doppio Teatro, uno dei più giovani arrivati nel già saturo panorama teatrale romano, incontrare una vecchia conoscenza, quella del Teatro Dei Limoni di Foggia, di cui già abbiamo visto due precedenti lavori su Bukowski e Vincent Van Gogh. Tanta è la temperatura dello spettacolo "to be or not to be Chaplin", che il groppo di parole si è disciolto ed ha ripreso il suo corso. 
Un'operazione pregevole, un salto notevole rispetto ai due precedenti, dove era presente una maggiore connotazione biografica; qui invece l'idea narrativa e concettuale svetta sopra la vita stessa di Chaplin. To be or not to be Chaplin, generato dalla penna di Nikzad e diretto da Roberto Galano, non è certo una biografia, ma una ricerca sul mondo interiore dell'attore inglese e in senso più ampio di ogni artista che ha popolato - e popola - i palcoscenici mondiali. Affondando a piene mani nell'intuizione shakespeariana dell'essere o non essere, nonché riprendendo il tema pirandelliano dell'immortalità del personaggio rispetto al suo creatore, si precipita nel nero pozzo del dubbio amletico e raccogliamo solitudine, paure, desiderio di Essere non soltanto il proprio personaggio, ma uomini al di fuori di esso. La paura di invecchiare e morire si scontra con l'immortalità del personaggio Charlot: Charles ha creato Charlot, Charlot ha ucciso Charles. Un lavoro macabro se vogliamo - seppur condito da note ironiche - con un lato oscuro molto spiccato a nostro avviso, la forza interpretativa di Giuseppe Rascio è aggressiva e ruvida - in forte contrasto con l'iconografia dell'originale Charlot - pregna di dramma, con esalazioni di malinconia e delle connotazioni ancora più inquietanti quando entra il fantoccio di Chaplin anziano su una sedia a rotelle. La luce non è mai diffusa, Charlot è quasi l'ombra di se stesso - essere o non essere - il lavoro rovista nella spazzatura dell'animo di ogni artista - ma anche un po' di tutti gli uomini - e lascia un sapore amaro, t'inchioda al muro e t'obbliga a riflettere. Non c'è scampo alcuno, quel cappio che pende in scena avvolge tutti i nostri colli: ed è così che torniamo ad Essere.

M. Di Stefano

  
“To be or not to be Chaplin” di D. F. Nikzad
con Giuseppe Rascio
musiche originali Mario Rucci
pupazzone Rosanna Giampaolo
elementi scenici Nicola delli Carri
assistente alla regia Francesca De Sandoli
regia Roberto Galano 

fino al 22 febbraio presso

Doppio Teatro
Via Tunisi 16 - Roma
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