giovedì 28 novembre 2013

Terapia di Coppia, Teatro dei Conciatori. Recensione

La terapia di coppia non è una questione individuale, non è un impasse irreversibile, è un fenomeno sociale, umano, figlio di certi periodi storici più che di altri; in più è un brillante, profondo e coinvolgente spettacolo messo in scena da un testo di Paolo de Vita, con l’interpretazione dello stesso e della bravissima Anita Zagaria, con regia di Antonio Serrano.

Chi di noi non ha passato almeno una volta nella vita una situazione di stallo sentimentale? Anche solo indirettamente, tramite gli occhi dei genitori, parenti, amici o conoscenti. E chi di noi non percepisce sempre un alone oscuro che si appresta a tarpare le ali a quei due cuori che per la prima volta s’imbattono e palpitano l’uno per l’altro, pronti a levarsi in volo verso un’altra dimensione, leggera, sognante, magica e favolosa? Appena si parla di coppia è impossibile non avere subito qualche preconcetto. Oggi i giovani non si sposano più, solo le passate generazioni riuscivano (e riescono) a tenere in piedi solidi e strutturati rapporti amorosi. Ogni frase spesa per cercare di spiegare tale fenomeno è inappropriata e ogni parola è superflua, fuorviante. Ma la domanda è: cosa succede alle persone innamorate, perché un bel giorno, dopo tanta vita vissuta insieme e un'inconsapevole inerzia che li ha avvolti, si guardano allo specchio, osservano chi hanno accanto a sé e pensano: chi sono, che ci faccio qui? 




I due attori, nel ruolo di marito e moglie, esprimono perfettamente le sensazioni che scaturiscono dalla suddetta questione. In un divertentissimo fluire scenico di quadri familiari quotidiani, ricostruiscono immagini a noi ben note, che ci trasportano e coinvolgono in risate, pensieri, sbuffi, sospiri e commozione, in un vortice di umana banalità e follia. È ben costruito il testo, sono molto chiare le situazioni e gli intrecci; c’è una tensione scenica forte e coerente, che fatica all’inizio a rivelarsi, ma si apre in corso d’opera trascinando alla massima attenzione lo spettatore. I dialoghi scorrono, la varietà dei contenuti è sostenuta da due importanti interpretazioni, le parole e il linguaggio sono studiati, non lasciati al caso e mai banalizzati; i movimenti naturali e non imprigionati da una regia opprimente che, anzi, lascia molta libertà agli attore e trovando delle soluzioni efficaci, come nella parte finale del secondo tempo, dove i due attori lasciano la scena vuota e stanno vicini a noi, lanciandosi e lanciandoci parole, creando un’atmosfera impressionante.


Si esce da questo spettacolo a cuor leggero, ma non accompagnati da un classico happy ending, piuttosto ben coscienti che nessuno, neanche una patetica ipotetica dottoressa-specchio, possa avere una soluzione ai grovigli matrimoniali e sentimentali. La coppia è una convenzione, dentro ci stanno due esseri umani, i quali però scelgono essi stessi di partecipare a quel sadico gioco delle parti che li rende tanto folli, quanto del tutto umani, sicuri. Perché l’amore e la perfezione saranno pure due idee lontane per creature celesti o immaginifiche, ma per noi poveri diavoli è un gran trambusto quotidiano e, tra un volo pindarico e una bolletta del gas, chi può dire che un equilibrio non possa davvero trovarsi: basta non aver paura di amarsi ancora ed essere un po’ folli nella nostra umana limitatezza.


L’invito a teatro è dunque calorosamente incoraggiato.
Valentina Nesi


TERAPIA DI COPPIA di Paolo De Vita
regia Antonio Serrano
con Paolo De Vita e Anita Zagaria
scene Dario Dato - costumi Rita Forzano

fino all'8 dicembre presso

TEATRO DEI CONCIATORI
via dei conciatori 5, 00154 - Roma
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lunedì 25 novembre 2013

Bambini avariati nella buca di sabbia. Recensione Buca di Sabbia, Teatro dei Conciatori





Alla fine abbiamo messo le due mani sulla pancia come a tamponare una ferita, una voragine, da cui zampillavano fuori tante immagini, tantissime sensazioni; c'era da chiudere gli occhi e tenere strette le due mani su quel piccolo canale, ma la nostra morbosità ce lo ha impedito: apriamo prima un occhio, poi l'altro, così ci siamo messi a sbirciare quello che è fuoriuscito, abbiamo osservato da vicino le nostra membra scomposte mescolarsi alla tanta vita che era dimentica. In un attimo ci accorgiamo che qualunque terapia non può riuscire a fare una fotografia di te stesso meglio di quanto non faccia poco più di un'ora in un teatro, o per essere più precisi, meglio di quanto abbia fatto Buca di Sabbia di Micha Walczak, andato in scena al Teatro dei Conciatori. Come se il nostro guscio fosse anch'esso di sabbia, il quale facilmente è stato scavato dalle mani di Tony Allotta e Sabrina Dodaro, per estrarne tutto ciò che restava sepolto. Non riusciamo proprio a restare indifferenti. Quando inizia uno spettacolo assumiamo un'aria seria, posiamo un taccuino sulle ginocchia tenendo una penna in mano pronta ad annotare, scrivere, sezionare come un bisturi il corpo della struttura rappresentativa. Bianco, un foglio completamente bianco. Alla fine l'abbandono prevale sugli istinti analitici: sono gli spettacoli migliori, quelli che non ti danno modo di riflettere e pensare a ciò che stai vedendo, ma semplicemente ne diventi parte. Una nuova presa di coscienza: più il taccuino contiene appunti, più lo spettacolo è discutibile. 
Bianco è il colore che non t'aspetti su un foglio d'appunti, profuma di sorpresa. È il colore dell'inaspettata analisi di un rapporto uomo-donna, una strada ampiamente battuta e da tempo divenuta insipida, che riesce nuovamente a stuzzicare l'appetito con nuovi allettanti sapori. Due adulti bambini, o due bambini che giocano a fare gli adulti? È il dubbio che muove l'attenzione, è la non completa identificazione di quella strana immagine di un uomo in boxer e giacca, con barba e capelli brizzolati, tanto ottusamente fedele alla sua ossessione per Batman; è l'innocenza di una bambola di pezza che si scontra col fascino maturo delle calze autoreggenti. Sembra un gioco ridicolo, ma l'intera vita è scritta secondo quel copione; che siano le nostre ossessioni da bambini o da adulti, è sempre una lotta tra la solitudine e la condivisione, tra l'incapacità e voglia (nascosta) di accogliere/respingere l'altro nella/dalla propria buca di sabbia e la tardiva presa di coscienza del bisogno dell'altro. Perché c'è una differenza enorme tra la solitudine per esclusione dell'altro e la solitudine per mancanza dell'altro. Qualcosa manca, ed è tangibile in questo metaforico allestimento, quando non c'è null'altro tra le mani che una bambola fattasi inanimata e senza consistenza. Il gioco dei recinti ha prodotto un campo aperto dove non c'è più possibilità che qualcuno entri. Non c'è più alcuna linea, l'ossessione del gioco si è tramutata nell'ossessione per l'altro, ma l'altro non c'è più. 


 Davvero un testo interessante, due ottimi interpreti, efficace la traduzione registica di Gabriele Linari, il quale scegliendo la via del minimalismo è riuscito a dar consistenza al simbolismo astratto dell'autore: scatola nera, pochi oggetti, zero orpelli, l'importanza fondamentale degli attori in questo disegno, il morbido disegno luci e le voci soffuse dei bambini che producono un'atmosfera tenue e raffinata. Tanto è valso che è caduta la penna, sulla sinistra sotto le panche della prima fila; non abbiamo tentato nemmeno di raccoglierla, né abbiamo presa l'altra nella borsa. Siamo rimasti così, impassibili, vulnerabili, aperti, con il ventre scoperto e quel buco di sabbia che lentamente si allargava dentro di noi. Perché non servono proprio gli appunti, basta aprirsi alla condivisione e non ostinarsi a delimitare il perimetro delle nostre infantili ossessioni, della nostra buca di sabbia. 
A.A.

PS. Le ultime parole le spendiamo per il Teatro dei Conciatori, teatro che "vanta" soltanto un paio di stagioni ma dove - non si sa bene perché - ancora non eravamo andati. Un piccolo teatro sì, ma non il solito "buco", o "cantina/teatro", o "quattro pareti con delle sedie da una parte", ma un ottimo spazio che offre quantomeno una "concreta possibilità rappresentativa" e ci pare di capire con un'attenzione particolare alla qualità di ciò che si offre. Da tenere in forte considerazione: sia come addetti ai lavori, sia come pubblico.


LINK UTILI:
- Teatro dei Conciatori | Sito ufficiale
- Pagina ufficiale di Facebook
- Promozioni e ridotti | Atrapalo


BUCA DI SABBIA di Micha Walczak
regia Gabriele Linari
con Tony Allotta e Sabrina Dodaro

visto al 

TEATRO DEI CONCIATORI
via dei conciatori 5, 00154 - Roma
info stagione e costi


 
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martedì 12 novembre 2013

Talenti da scoprire: da Montreal a Roma, arrivano i Suuns al Circolo degli artisti




Per quanti amano la musica, per quanti amano andare alla ricerca di novità artistiche, per tutti quegli animi curiosi che adorano immergersi a fondo nelle sensazioni, segnaliamo che venerdì 15 al Circolo degli Artisti di Roma arriva la rock band canadese Suuns. Li abbiamo scoperti nei tortuosi pomeriggi di ricerca musicale sul web, le loro sonorità si sono appiccicate alla nostra pelle, dissolte tra i pori si sono infiltrate nei vasi sanguigni, pericolosamente circolano nel corpo contaminando e alterando le percezioni, gli organi vitali hanno assunto strane tonalità di colore, lo spirito s'eleva sopra cieli mistici. Ascoltare i Suuns è un vero viaggio, vanno disattivati tutti i punti di contatto col mondo circostante, si preme play ed è come prendere un fungo magico, si cammina lungo un sentiero boschivo dal terreno soffice e procedendo si assiste al mutare informe del paesaggio. Un canto o un lamento? Scivola via, la voce, la musica, sono spirali, onde, immersioni sensoriali. La loro musica non va semplicemente ascoltata, va attraversata con tutti i sensi. Atmosfere psichedeliche che permettono di fantasticare. Consigliamo di non perderli assolutamente, può essere un'esperienza. Il concerto sarà per i Suuns l'occasione di presentare il loro nuovo album "Image The Futur".

Ascolta: Suuns - Images Du Future (2013)

 

Venerdì 15 novembre, concerto Suuns al Circolo degli artisti

I Suuns sono nati nell’estate del 2006 quando il cantante/chitarrista Ben Shemie e il chitarrista/bassista Joe Yarmush scrissero le prime canzoni. Al duo si aggiunse ben presto il batterista Liam O'Neill ed il bassista/tastierista Max Henry, a completare la line up. "Non pensavo fossimo un vera band nel primo anno" ammette Ben. Fino a quando un amico li aiutò, procurando loro uno spot al Pop Montreal 2007, dove la band si esibì nel loro primo real gig... (Leggi tutto)

 




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La lezione di Ionesco al T.Millelire: delirio a tre per interpreti virtuosi. Recensione




La lezione di Ionesco andata in scena al Teatro Millelire ci lascia spiazzati. Diventa davvero difficile poter spendere delle parole che possano essere di qualche utilità al lettore. Del resto il cosidetto Teatro dell'assurdo produce spesso questo effetto di disorientamento, mescolando la banalità della situazione alla ricchezza di significati spesso ostici da ricercate, ricchi di sfumature e critica sociale. Quando inoltre la rappresentazione ricalca quasi fedelmente la natura dell'opera, alla quale si aggiunge la bravura degli interpreti, qualsiasi parola rischia di creare incompresione e disorientare ancora di più. Sarebbe certamente fare un torto agli attori e al regista produrre una recensione che non ricalchi puntualmente ciò a cui si è assistito. Bisognerebbe fare innanzitutto un discorso molto lungo sul significato dell'opera - il che sarebbe fuori luogo e ridondante, vista la vasta letteratura critica sul teatro di Ionesco - ai molteplici significati e punti focali, al brutale rapporto che c'è tra insegnamento e apprendimento, alla distanza tra insegnante e allievo, al metaforico condurlo al rapporto carnefice/vittima. E c'è inoltre la parola, la parola che in Ionesco si spoglia di ogni significato, all'attrito emergenete tra mondo e linguaggio che conduce alla progressiva perdità di ogni conformismo comunicativo. Suono, ciò che resta; e ancora c'è la critica a una certa cultura, la denuncia politica del nazismo e tanto altro. Tutti argomenti i quali speriamo vogliate approfondire in altre sedi. Un testo caratterizzato da una struttura farsesca, spinta talvolta al grottesco, non priva tuttavia di ricadute tragiche, improvvise e inaspettate, con un colpo impensato e magico quando nessuno proprio se lo aspetta. Nonostante il dissacrante ingegno della sua costruzione, è un testo che ci appare molto legato al suo tempo, la morbosità dell'atto dell'insegnamento oggi ci appare persino capovolto, gli insegnanti che un tempo esercitavo il proprio potere attraverso la cultura sono diventati poveri cristi di fronte ad allievi sempre più sfrontati. Il rapporto carnefice/vittima esiste ancora, ma i ruoli si stanno lentamente invertendo. Come del resto il richiamo alla tremenda tragedia storica che rappresentò il nazismo, questa non ha più i caratteri forti della denuncia come poteva esserlo nel 1951. La lezione è figlia del suo tempo - sebbene ancora ampiamente rappresentata - il pubblico forse nemmeno riesce a coglierla pienamente. Chi lo fa, ne gode i frutti saporiti. 




Lo spettacolo diretto da Claudio Monzio Compagnoni e Mimmo Strati s'illumina soprattutto dell'ottima performance di Claudio Scaramuzzino, protagonista assoluto grazie ad un'interpretazione davvero virtuosa, lasciandosi andare a quello che si potrebbe quasi un esercizio di stile. La sua voce è una giostra che si muove a differenti altezze, si impenna, precipita, raggiunge velocità vorticose senza perdere la sua chiarezza, rallenta ancora morendo quasi in una stasi ritmica, poi riesplode. Segue la parabola del professore indicata dall'autore, forse ne accentua e anticipa la sclerosi psicologica, corre persino più veloce dell'autore stesso, ma ogni tentativo di individuare una forma dalla quale egli possa essersi avvicinato o allontanato sono inutili: qualunque cosa abbia fatto, che sia troppo o troppo poco, è stato fatto con qualità. Virtuosismi così non sono da tutti, la sua estasti si moltiplica col passare dei minuti, alla verve articolatoria e fonetica si aggiunge forse anche un certo grado di immedesimazione - questo forse non allineato con Ionesco, il quale era distante da un certo teatro che privilegia la mimesi realistica - spingendo dentro le pance di ogni spettatore, ormai completamente disorientato, quel pugnale che profuma di dramma vero. Un dramma comico, così Ionesco amava definire la sua opera. Forse non siamo nemmeno veramente preparati ad affrontare in veste critica questa messa in scena, così poche sono state le occasioni di assistere concretamente a La lezione - e non certo possiamo dire di aver goduto di eccellenti rappresentazioni; certi testi sono spesso i preferiti da taluni macellai amatoriali - che come unico materiale di utile confronto non possiamo che riportare le parole dello stesso Ionesco: 

Il teatro è puro gioco di parole, di scene, di immagini. Materializzazione di simboli. Liberare la tensione drammatica senza l’aiuto di nessun intrigo. Perché anche nell’assenza di un vero e proprio intreccio si può manifestare qualcosa di mostruoso, in quanto il teatro è essenzialmente rivelazione di cose mostruose... che portiamo in noi.

E ancora:

Il fine de La Lezione è quelli spingere il burlesco fino al limite estremo. Poi un leggero tocco, un movimento impercettibile, e ci si ritrova in pieno tragico. E’ un gioco di prestigio. Il passaggio dal burlesco al tragico deve avvenire senza che il pubblico se ne accorga.

Alla luce di ciò possiamo dire di aver assistito a qualcosa che ha tradotto scenicamente l'eredità del pensiero dell'autore, riportandola in maniera pressoché fedele sulla scena. Mostruoso, burlesco, tragico e con un Claudio Scaramuzzino (senza nulla voler togliere a Flavia Faloppa e Rosa Brancatella) ottimo direttore d'orchestra di un pazzesco gioco di parole senza intreccio.  
A.A.


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LA LEZIONE di E. Ionesco
regia di Claudio Monzio Compagnoni e Mimmo Strati
con Rosa Brancatella, Flavia Faloppa e Claudio Scaramuzzino

visto al

TEATRO MILLELIRE
Via Ruggero de Lauria 22 - Roma
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mercoledì 6 novembre 2013

L'utopia (im)possibile di Simone Weil: Di nessun partito al Teatro Stanze Segrete. Recensione

Democrazia, libertà, giustizia, verità. Un tappeto di fogli copre il pavimento del Teatro Stanze Segrete. Sono citazioni di Simone Weil e quelle quattro parole che nel gioco di specchi riflessi negli specchi si ripetono infinitamente. Parole il cui senso si è perso, come ogni cosa di cui si abusa, ridicolizzate dal dibattito politico per far presa sul pubblico. Democrazia, libertà, giustizia, verità. Avremmo voluto alzarci, gridare, discutere, partecipare, dimenticandoci in realtà che quello era un testro scritto da recitare pressoché a memoria e non una vera tavola rotonda. Marta Scelli ci guarda, parla, facciamo sì con la testa in una viva partecipazione e condivisione di quello che era il pensiero di Simone Weil. A guardarlo bene da vicino è un qualcosa di elementare, qualcosa però che le nostre menti vulnerabili non sanno cogliere - o non vogliono cogliere - tanto insicure da preferire la dominazione e lo schiavismo del pensiero ad una vera libertà. Un'ora di spettacolo è persino poco, un assaggio, vorremmo restare nel salottino dove la nostra immagine si moltiplica a dismisura nella moltitudine di specchi, perché è confortevole trovare conferme nel pensiero filosofico della Weil, attento, pesato, non fine a se stesso. E tutto ha il suono di un delicatissimo "Ma se..." Se non esistessero i partiti? Se abolissimo i partiti? Sembra la solita trovata populistica, qualcuno acclamerà, ma non assistiamo a strepiti, berci, grezze voci graffiate che osannano non si sa quale guru a loro messaggero senza sapere nemmeno per cosa stanno lottando. Qui è un qualcosa di più sottile ed alto, qualcosa che ha il beneficio della riflessione, di quelle riflessioni scolpite perfettamente intorno ad una tesi e che da qualsiasi angolazioni le guardi sembrano perfette. Si arriva al fine ultimo, la soppressione dei partiti, attraverso un processo del pensiero ineccepibile, non certo per uno sfogo di rabbia che combatte un sistema con le stesse armi del sistema. Democrazia, libertà, giustizia, verità: secoli e secoli di riflessioni, pensieri, astrazioni, alla ricerca del bene, di un punto fermo, di una qualche valida certezza, un passo avanti che consentisse di non arretrare; tutto è stato invece vanificato dall'era dei venditori di massa, dei predatori di masse nel regolare esercizio della vita democratica in nome della libertà di scelta, perché laddove c'è la volontà di massa c'è giustizia e verità. E un senso non si trova più, nemmeno ad elemosinarlo. Dai microfoni dei talk show tutti hanno da mettere qua e là parole confuse condendole con i quattro ingredienti magici. 


Lo spettacolo "Di nessun partito" pone sotto la lente di ingrandimento la nostra realtà falsificata, ce ne mostra le contraddizioni, ricordando le parole lontane di una pensatrice morta davvero troppo giovane, ma che ci ha lasciato un'eredità imponente. Per alcuni sono conferme di cose già pensate, per altri primi passi per procedere verso una riflessione più profonda sulla nostra società. Tanta carne al fuoco, eppure ben selezionata per costruire quel filo logico che consente allo spettatore di non perdere l'orientamento. Uno spettacolo apparentemente per menti illuminate e colte, ma i concetti sono universali e capibili da tutti. Dipende solo dal grado di apertura alla verità di ognuno, da quanto si è pronti a mettere in discussione, dalla volontà di concentrarsi sulla contrapposizione tra mezzo e fine. I partiti sono certamente un mezzo per esercitare la vita democratica,  eppure assistiamo continuamente ad un rovesciamento, i partiti stessi diventano il proprio fine: attraverso la propaganda i partiti operano una pressione collettiva sul pensiero finalizzata alla persuasione, il cui obiettivo è la crescita del partito e quindi la sua autoperpetuazione. Tutto vero - benché anche sul concetto di verità si possano aprire ampi margini di discussione - eppure sembra davvero un'utopia irrealizzabile quella della Weil, è molto più facile farsi persuadere che non esercitare una libertà concreta. Rincuora però sapere che qualcuno ci ha pensato, che qualcuno ha tentato un passo verso il bene, che altresì un regista e un'attrice abbiamo deciso di "teatralizzare" quelle parole e trasmetterle. Il teatro stesso oggi è diventato un fine, il fine ultimo del teatro è il teatro stesso, mentre dovrebbe - ed è - anch'esso un mezzo con cui, attraverso un linguaggio artistico e spesso accattivante, mandare un messaggio; un mezzo attraverso il quale rivelare l'uomo. Di nessun partito è dunque il teatro che torna a farsi "mezzo per il bene" e lo fa utilizzando anche gli strumenti tecnici (come le installazioni video di Riccardo Palladino), i quali mai diventano il verbo dominante ma solo un mezzo che renda più piacevole la fruibilità.
Marta Scelli (molto emozionata) presta la sua voce alle parole di Simone Weil, le rievoca come se stesse interpretando un personaggio, come se provasse a scovarle in quel preciso istante in un cassetto remoto della memoria. Ci chiedevamo il senso del tentativo di interpretazione di un testo che vuole solo omaggiare, trasmettere, diffondere, perché non si è tenuto un tono distaccato e saggistico, o magari persino propagandistico. Forse la chiave della regia di Massimiliano Giovanetti è da ritrovare nella restituzione di un senso alle parole, perciò è stato necessario spogliarle da ogni retorica politica, da ogni spinta a fare del proselitismo, arrivare quasi a renderle impronunciabili, incerte perché incerto è il loro senso, tornare ad emetterle come un complesso di suoni nuovi e ancora informi alla ricerca di un significato, un timido vagito appena riconoscibile: democrazia, libertà, giustizia, verità. Forse la scelta più rischiosa, ma ripensandoci quella più protesa verso il bene, perché se così non fosse stato, tanto valeva riversarsi nelle piazze a far compagnia agli urlatori. Utile.
A.A.


DI NESSUN PARTITO
liberamente tratto dagli scritti di Simone Weil
regia Massimiliano Giovanetti
con Marta Scelli
Visual Riccardo Palladino
Luci Gabriele Boccacci
Ufficio Stampa: Rocchina Ceglia - rocchinaceglia@gmail.com

dal 5 al 10 novembre presso

TEATRO STANZE SEGRETE
Via della Penitenza 3 (Trastevere) - Roma
tel. 06.6872690/ 3389246033




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lunedì 4 novembre 2013

Riflessi della settimana teatrale: consigli e sconti.

C'era un momento che ci piaceva tanto lo scorso anno, quello dei consigli settimanali. Poi gli impegni, il tempo mancante, la stagione finita ci hanno spinto al silenzio. Ora la stagione è ripartita, gli impegni non sono terminati, ma ci sono tanti spettacoli che mettono l'acquolina, si sente tintinnare l'abbondante pioggia e c'è necessità di un buon ombrello, dunque si rende recessario rispolverare questa rubrica. Dove trovare riparo questa settimana? E a quali prezzi? Le proposte sono interessanti e le offerte davvero invitanti. Spesso strizziamo l'occhio al nuovo, ma certamente il vecchio rappresenta un punto di riferimento imprescindibile. Soprattutto in fatto di ombrelli. Perciò per prima cosa si butti un occhio al Teatro Ghione, dove l'instancabile Giorgio Albertazzi si fa portavoce delle Lezioni Americane di Italo Calvino: connubio troppo ghiotto per rinunciarvi. Al Teatro Vittoria, come ormai succede da 30 anni, i meccanismi delle prove di una sgangherata compagine teatrale sono svelati in Rumori Fuori Scena di Michael Frayn, riuscitissimo spettacolo della Compagnia Attori & Tecnici, ormai una tradizione irrinunciabile. Come irrinunciabile per gli amanti della danza - e non solo - è Alchemy, il nuovo spettacolo dei Momix, compagnia di ballerini/illusionisti fondata dal coreografo americano Moses Pendleton per i quali non servono certo le presentazioni, ma soltanto segnalare il luogo della prossima suggestione: il solito Teatro Olimpico, dal 5 novembre al 1 dicembre. E ancora danza, con un classico del balletto riletto in un'ottica davvero insolita e rivoluzionaria: mette davvero molta curiosità Il Lago dei Cigni versione gay che sarà in scena al Teatro Argentina dal 6 al 10 novembre, certamente la ciliegina alla settimana teatrale; una rilettura che fonde diversi temi, quali il rapporto tra i sessi, dell'omofobia, un continente nero devastato dall'Aids, l'influenza forse della danza popolare Africana.
Messi da parte questi spettacoli, i quali sono quelli che recano il certificato di garanzia - ma anche un ombrello buono può rompersi a volte - facciamo un giro nelle viuzze più nascoste, meno trafficate, più ricercate. Ci vengono incontro ambulanti con ombrelli di emergenza, ci assicurano che sono ombrelli buoni, tentar non nuoce: ci si ripara in qualche modo o ci si becca il raffreddore. Non vogliamo ammalarci, così andiamo nel raccolto spazio/salotto del Teatro Stanze Segrete, dove Massimiliano Giovannetti dirige Marta Scelli in Di nessun partito, tratto dagli scritti di Simone Weil, la quale poco prima di morire, nel 1943, scrisse "Il manifesto per la soppressione dei partiti politici": lo spettacolo è un omaggio al pensiero della filosofa e prova a restituire un senso a parole come verità, giustizia, libertà. Raccogliamo il suggerimento di Rodolfo Di Giammarco di Repubblica per lo spettacolo La Grande Guerra - Eppure si rideva al Teatro Ambra alla Garbatella, ovvero la guerra vista attraverso gli occhi e la sensibilità dei poeti che l'hanno vissuta, un torrente che trascina detriti di cultura, storia, poesia: lanciatevi. Si ride con un classico del Teatro dell'assurdo al Teatro Millelire: Mimmo Strati dirige La Lezione di Ionesco. Ce ne parlano bene, ma i nostri occhi non possono testimoniare, dobbiamo fidarci? Lo sfascio di Gianni Clementi, una sorta di Romanzo Criminale a teatro, in scena fino al 17 novembre al Teatro Sala Umberto. Potremmo fermarci qui, ma il nostro bambino interiore ci tirà la giacca piagnucolando "e noi? e noi? e noi? mica possiamo beccarci tutta la pioggia noi!". Come biasimarlo, è forse il momento più importante: attori e marionette al Teatro Mongiovino per La voce della luna, il quale racconta di un Pulcinella innamorato della Luna; al Teatro Furio Camillo, domenica 10 alle 11.00, ci si emozionerà con Storia d'amore di un paio di scarpe, uno spettacolo di teatro di narrazione e piccolo circo per bambini con elementi di danza, acrobatica, giocoleria e teatro di figura. Ora sì, siamo sazi (e asciutti), non resta che augurarvi
Buon Teatro.  
 A.A. 


ABBIAMO PARLATO DI:
  • Lezioni Americane, di I.Calvino, con Giorgio Alberttazzi | Teatro Ghione, fino a 17 novembre (ridotto! €20 €12, info e prenotazioni)
  • Rumori fuori scena, di M.Frayn | Teatro Vittoria 5 - 17 novembre (€20-€26, info e prenotazioni)
  • Alchemy (Momix) | Teatro Olimpico 5 novembre - 1 dicembre (da €18, info e prenotazioni)
  • Swan Lake, coreografie di Dada Masilo | Teatro Argentina nell'ambito de Romaeuropa festival dal 6-10 novembre (€14-€36, info e prenotazioni)
  • Di nessun partito, di S. Weil, regia M.Giovannetti | Stanze Segrete 5-10 novembre (€10-€13, info e prenotazioni)
  • La Grande Guerra - Eppure si rideva, regia Lorenzo Costa | T.Ambra alla Garbatella 5-10 novembre (best price! €13.80 €7.40, info e prenotazioni)
  • La lezione, di E. Ionesco, regia Mimmo Strati | Teatro Millelire 5 - 10 novembre (€12, info e prenotazioni)
  • Lo sfascio, di Gianni Clementi | Teatro Sala Umberto fino al 17 novembre (ridotto! €23 €15.50, info e prenotazioni)
BAMBINI:
  • La voce della luna, Teatro Mongiovino 9 e 10 novembre (ridotto! €7, info e prenotazioni)
  • Storia d'amore di un paio di scarpe, Teatro Furio Camillo, domenica 10 ore 11.00 (ridotto! €6, info e prenotazioni)

 
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