sabato 25 maggio 2013

Lo sguardo oscuro

(nell'immagine: un'opera di Stefano Bonazzi

Piangendo, vedevo dell'oro - e non potei berlo.
(A.Rimbaud)

Tieni chiusi gli occhi
che hai raccolti dai pozzi
io amo i fondali neri
guardami e diverrò acqua.

Non aprirli per carità
anch'io debbo sorridere: 
tra la gioia e il tormento
sempre scelgo d'annegare.
A.G.

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Il Treno ha fischiato, regia Antonio Diana, Teatro Millelire. Recensione

Nella sinossi c'era scritto: un Pirandello così non si era mai visto. Nel bene o nel male - seconda dei gusti - almeno da quanto ne sappiamo, una traduzione scenica di Pirandello con un melting pot artistico comprendente narrazione, danza, musica e teatro, probabilmente non si era visto. Lo spettacolo in questione è Il treno ha fischiato, tra le più significative novelle pirandelliane, prodotto dal Teatro Millelire e diretto da Antonio Diana, andato in scena dal 16 al 19 maggio nello stesso teatro e dove tornerà nella prossima stagione. 
Belluca è un impiegato metodico e infaticabile, con una gravosa situazione familiare, ha mancato improvvisamente ai suoi doveri manifestando atteggiamenti di ilarità e trasgressione. I colleghi e i capi ufficio non hanno dubbi: è impazzito. Febbre cerebrale è la diagnosi dei medici. L'unico che analizza la sua situazione lucidamente, narrando a ritroso per ricostruire la vita del protagonista e svelare la sua normalità è - nella novella - il vicino di casa. Belluca non è pazzo, ma ha avuto una reazione ad una situazione di impassibilità. Perso nel silenzio dei suoi movimenti meccanici ode per la prima volta il fischio di un treno, cui mai aveva fatto caso; questa improvvisa presa di coscienza gli sconvolge l'esistenza, riportandogli alla mente le città visitate da giovane, conducendolo alla riscoperta della libertà e del piacere di vivere. I suoi paraocchi sono caduti, Belluca continuerà la sua vita come sempre, ma si concederà momenti di evasione a bordo del treno della fantasia, il quale fischiando lo porterà lontano. La fantasia, ovvero l'ancora di salvezza dell'uomo dall'oppressione (lavoro e famiglia) nell'ottica pirandelliana. 


 La voce narrante è tramutata nella regia di Diana in un coro di quattro voci (Antonio Lupi, Antonio Diana, Mariano Riccio e Arianna Luzi), le quali si alternano rubandosi il verbo di bocca; una narrazione colorita e movimentata, con variazioni ritmiche e tonali, rallentamenti, sfruttando le inevitabili differenze e caratteristiche degli attori; mantenendo tuttavia la legatura necessaria tra una voce e l'altra, tendendo dunque ad una narrazione unitaria come fossero quattro sfumature di un'unica voce. Le intuizioni registiche di Antonio Diana sono molto buone - come già avevamo notato in Abbascio 'a Grotta, spettacolo selezionato per il Fringe Festival di Roma - che tinge di un tratto squisitamente teatrale una novella lasciata invariata nei suoi tratti narrativi, senza intrappolarla però nell'ambito della semplice lettura scenica. Soprattutto la scelta di far emergere il Belluca dai praticabili rivestiti di un tessuto elastico bianco, ad occhio dei semplici gradoni, sono una traduzione metaforica eccellente dell'ospizio e della vita di Belluca, il quale emerge, corpo risvegliato da un fischio, riscoprendo se stesso e la propria libertà. Il protagonista vive nei movimenti corporei di Alessio Spirito, il quale sintetizza attraverso una pregevole danza, spesso priva di note, la storia di Belluca.
Come detto, lo spettacolo mischia molti stili artistici. Un ruolo dominante - almeno per lo spazio a essa dedicato - assume la musica, come una seconda narrazione cantata. Le musiche originali degli DLD di Los Angeles, sono orecchiabili e piacevoli, le performance spesso eccellenti come quelle di Mariano Riccio (ottima espressività anche nella narrazione, una voce per la quale persino un futuro nel doppiaggio non sarebbe un oltraggio); tuttavia, la musica non riesce a tramutarsi per noi osservatori in poesia come lo è stato il corpo di Alessio Spirito  (spesso in duetto con Arianna Luzi) e resta un piacevole e ben eseguito intermezzo, legato con grande uniformità allo spettacolo, mantendendo però una sonorità un po' commerciale, senza quel balzo necessario a renderlo arte e sintesi concreta del testo pirandelliano. Balzo il quale, visto la cura e le capacità di Antonio Diana, crediamo si possa azzardare, per far raggiungere un gradino ancora più alto alla qualità delle sue regie. 
A.G.


IL TRENO HA FISCHIATO - un concerto di voci
da una novella di Luigi Pirandello

regia Antonio Diana
con Antonio Diana, Antonio Lupi, Mariano Riccio, Arianna Luzi.
movimenti coreografici Alessio Spirito
musiche originali DLD di Los Angeles
costumi Gavriel Shapira 

visto al 

TEATRO MILLELIRE
via Ruggero De Lauria 22 - Roma
info: www.millelire.org

 
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domenica 19 maggio 2013

La solitudine del re - Teatro Millelire. Recensione

Noi crediamo che la forza del teatro sia da ritrovare nella sua sincerità. È un luogo franco, dove tutto - o quasi - è concesso. Non mette paura, non fa paura una piccola sala con trenta persone che apprendono una verità. Una storia, quella di Aldo Moro, conosciuta perlopiù attraverso canali televisivi o giornalistici, ma senza approfondimenti, delineata nei suoi contorni ma sempre attenti a non spingerla al punto della riflessione. Soprattutto, corretta dai poteri che sui mezzi di comunicazione hanno una forte influenza per dare l'impressione che i colpevoli sia gli uni piuttosto che gli altri: si protegge una facciata. Una facciata che si sgretola quando si entra in un teatro, perché lì non sono fruitori milioni di persone, ma poche centinaia al massimo e non fanno paura. Allora resta libero, senza influenze, permettendosi allora di dire che colpevoli lo erano sia gli uni che gli altri, affondando la lama della ricerca nella verità dei fatti storici - i quali probabilmente solo i più colti disposti ad approfondire leggendo libri (non affidandosi esclusivamente a tv e giornali) possono conoscere - aggiungendo quella piccola goccia di siero della riflessione che permette a tutti di pensarci un po' su. Mauro Monni gira l'Italia con la sua valigia, all'interno della quale tiene una storia, scritta e diretta da lui stesso, una dose di verità su Aldo Moro che ha ritenuto opportuno raccontare con un sincero monologo teatrale dal titolo La solitudine del re. Moro come Riccardo III, un uomo abbandonato al proprio destino in nome della fermezza istituzionale, dimenticato dal partito, il suo partito, lasciato marcire nella tana dei suoi rapitori, luogo ignoto, almeno in apparenza. Perché qualcuno sapeva e se Moro è morto è perché così si era deciso, gli uni e gli altri insieme, forse più per mano dei suoi amici che non dei suoi nemini.
Uno spettacolo documentaristico politico e umano che ripercorre i 55 giorni di prigionia fino alla drammatica fine, passando in rassegna i momenti cruciali, le stragi, le verità, il memoriale, il ruolo dell'america. Verità che non tutti conoscono e Mauro Monni racconta con garbo, con una delicatezza che diventa quasi una confessione intima, mai urlata, con un tono contenuto come fosse il segreto di una setta. E in effetti il pubblico del Teatro Millelire ascolta con attenzione, in maniera quasi circospetta, come se si fosse spiati, come fossimo davanti a un segreto di Stato inviolabile. Ma nessuno spia quelle trenta persone che forse non sapevano ancora e ora sanno. Un monologo che pur nella sua vocalità sommessa, è risultata di gradevole ascolto per i colori e il coinvolgimento di Mauro Monni, per i cambi di luce e gli stralci di immagini storiche, per l'alternanza di istanti narrativi e momenti in cui sembrava quasi che si volesse aprire un foro per spiare nel covo di Moro e vedere lui stesso fare quelle confessioni. La passione narrativa di Monni permette allo spettacolo di restare vivo, documentarisco senza tuttavia diventare un documentario. Le musiche originali composte da Marco Lamioni e i video realizzati dal regista Paul Cameron, contribuiscono a creare un clima di coinvolgimento riaccendendo fiammelle di commozione e indignazione che hanno caratterizzato quegli anni tragici. Prezioso. 
A.G. 

LA SOLITUDINE DEL RE
scritto, diretto e interpretato da Mauro Monni
musiche originali di Marco Lamioni
video di Paul Cameron 

visto presso

TEATRO MILLELIRE
via Ruggero De Lauria 22 - Roma
www.millelire.org 

 
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I poeti


 (nell'immagine un'opera di F. Bracquemond)

Amputate gli acrobati 
(cit. da un celebre murale)

Uccidete i poeti
feriteli a morte!
Fintantoché non resterà
d'essi una muta carcassa.

E quando son colmi di voluttà
trucidateli senza pietà
occultate i loro silenzi
lungo un'arena bianca

li divorino i granchi
siano rosi dal sale
il sole sia la loro brace
più non squittiscano!

 - Eppur si muove
feticcio immondo!
Seppur ei morto
esala tormenti!

Saremo mai liberati
dai loro canti disperati?
Oh che anime depravate
che tanfo quelle spoglie alate!

Ed ecco quei poveri Cristi
risorgere gonfi di cisti
sparate! uccidete! I cervelli
al core vogliono come orpelli!

Van cercando divine muse
perch'esse li disprezzino
inondar sì d'amaro strazio
il cammino all'uomo pratico,

e come rifiorisce la natura
come trema la terra dura
al passaggio del loro pianto
sparate! pria che trovino l'incanto!
A.G.

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sabato 18 maggio 2013

Il calcio di rigore

Che poi ecco, quando ti stai giocando un posto nelle coppe, ti prende come un'euforia, quella del calcio di rigore. La palla sul dischetto, la rete ampia e quell'omino tra i pali che prova a spaventarti con le sue braccia aperte. Perché c'è più gusto a tirare un calcio di rigore, è così. È come fermare il tempo, è una mescolanza di passato, presente, futuro. Apnea. Respira. Il pubblico non parla. E poi, poi quell'attimo, quell'attimo in cui il tuo piede colpisce il pallone e undici metri d'aria tagliati da un pallone, il tuffo del portiere... 
E' così diverso quando cerchi un rigore, certe partite possono essere risolte solo da un calcio di rigore, fai di tutto per procurartelo. Devi solo stare attento a non beccarti il cartellino giallo della simulazione. Tutto dipende da te, dal quel microvomimento che rende un tiro preciso o sbilenco. Tiro...
Non ci sono storie, un rigore è un rigore. Ed ogni azione è tesa a procacciare quell'attimo di tempo bloccato, quell'interminabile euforia che ti colloca in un punto indefinito dello spazio, quell'ipnotica incertezza di un futuro ipotetico. Tutti corrono intorno alla palla, tu rincorri invece fantasie d'area di rigore, fantasie di voci e voli pirotecnici, di maglie sporche d'erba, di rotolamenti, di ciuffi erbosi in bocca e tra i capelli, di polvere che s'alza e zolle che volano. Una stoccata...
Non è la partita in sé, è quell'attimo che decide, che divora in un'estati muta, orgasmica, un attimo che vale secoli e parole di mille poeti, che travolge con un niente le goleade del passato. Puoi vincere facendo goal su azione, puoi vincere tutte le partite, ma c'è sempre una partita che vale più delle altre e cerchi di buttarti in aria per procurarti un calcio di rigore. Non conta altro. Il goal su rigore è una sfida al tempo, al tempo che diventa indefinito istante..
Solo poter calciare, dal dischetto bianco, un piccolo grumo di cenere bianca, poof, e la gocciolina di sudore che scivola giù, la dove farà schizzare il cuoio più avidamente. Quanto siamo? Zero a zero. Ci vorrebbe un calcio di rigore: poi c'è quell'istante in cui si apre un varco e l'aria la senti nuova, magica, non più rarefatta, ma densa, di un clima, di un incantesimo, del giusto tocco che manda a vuoto un avversario, dal passo veloce che s'avvicina ai trenta metri e ancora una prodezza e un'altra, ed entri in area ed è uno stato di sogno, di grazia, tutta la vita davanti, avanti e indietro nel tempo, e poi swam, via uno e un altro, godimento d'anime swam, avanti e indietro swam, tempo e non tempo swam, sussurro di secoli swam e arbitro voglio un calcio di rigore! Arbitro: "rigore! rigore!" "e passa quella palla maledetto!" "passa che sono solo!" "rigore! rigore!" "ma che ti prende, passa!". E poi quell'ultimo tocco e poi..
Giù, il ginocchio sulla tua coscia e poi giù, senti la realtà distorcersi, tutto un girotondo di colori quando vai giù, non sai dove sei, quale il nord, il sud, giri, potresti essere morto senza saperlo, giri, dura un'eternità e poi giù...
E poi non esiste più tempo..
Fischio. Rigore. Goal.

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venerdì 17 maggio 2013

Alla notte

(nell'immagine un quadro di Edward Hopper)

Mi piaci amica Notte
perché in te languisco
teneramente l'aria
afferro e stringo;

perché sai esser spettrale
col tuo nero sepolcrale
sotto il tuo pizzo seducente
urlo silenziosamente.

T'amo poi perché temo
temo la brevità, il sonno
che sfugge e ti consuma
l'incanto che muore nell'alba.

Notte che proteggi gli amanti
i piccoli diavoli, gli ubriachi,
un lenzuolo di sospiri
dona a chi lungamente attende.

E abbi pietà di noi
dei poveri pazzi estasiati
ebbri di profumi fugaci
concedici i sogni migliori.

Notte io taccio, io so, farai
della mia anima uno straccio
e ciò ti rende bella:
Notte "ancora, ancora botte!"
A.G.

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