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giovedì 22 dicembre 2011

Il calabrone, l'amicizia... - Alberto Bevilacqua

...nell'inerzia mattutina
mi punzecchia un calabrone:
credo voglia ricordarmi
che io mi ero amico, un tempo, un amico discreto
- vivevamo noi due in una buona incomprensione:
purché innocente l'uno,
purché l'altro dissoluto
ma per una scherzosità libertina

capriccioso a volte esige che mi arrabatti con lui
per spiaccicarlo ai vetri,
ma il calabrone lo sa
che non saprei ammazzare neanche una mosca,
nemmeno di una formica
potrei cancellare la lenta calligrafia
del suo passo sul foglio di una mia poesia
- m'incanta quella minuscola ebbrezza passeggera
d'esser parte di un verso

le cose prendono il nostro contorno di bello
- io e il calabrone
due immagini ina una persino voluttuose:
voliamo beffardi di noi infine
nell'aria del soleggiato giardino,
volo di amici che altri ne raduna:
l'aiuola ablunga di viole, un muro
di rampicanti dal colore indovino

non più l'effimera morte
del suo residuo di vita
l'inseguo
ma per cacciarne la fine dal suo volo,
e valga il sospetto:
per cacciarne una mia ombra già
a taglio nel cuore, di uomo solo
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giovedì 1 dicembre 2011

Una notte ho capito, ho carpito..

(nell'immagine: un'opera di Magritte)

Già per il semplice fatto di aver scelto di fare questo mestiere
non siete persone normali (cit.)

***

Strani esseri popolano la città di notte. Io sono uno di quelli...
Muovendo, senza pretese di orari, attendo di arrivare a destinazione, sulla mia brandina arrangiata in uno spazio che non è casa, ma habitat, rifugio. L'N25 partirà alle 3.05, si assottiglia il tempo. Forse si chiuderanno gli occhi mentr'altri si schiudono, poi sarà nuovo giorno, anche per me che non ho dimora, se non nella mia anima.
Scruto il cielo, coperchio dell'eterna città, solo tre stelle vedo. È una volta spoglia che ingurgita i lamenti dei relitti umani che chiedono perdono a sé stessi.
Percepisco un bagliore e sono io, io che m'infiammo come una stella ardente. È questa la vita che voglio fare. Non ho orari, solo voglia della mia arte e di viver persone. Per questo basta paure. Illuminarsi, nel buio, di un raggiante universo sommerso. Non serve altro che una strada, una direzione, una possibile deviazione. Tutto è superfluo, perché ci danniamo tanto per l'inessenziale? Abbiamo tutto, abbiamo noi stessi. Il resto sono essenzialistà di plastica, accessori che vogliamo possedere, i quali possedendo ci posseggono. Basta con l'inseguire le vane luci, i miraggi, cerca te stesso, troverai l'oasi della consapevolezza. Così t'accorgi che basta poco per esser vivi davvero, liberi, mentre si staccano e planano oscillanti foglie gialle.
Ah, mani gelide, che ancora trovate l'ardore per tramutare sentimenti in parole!
Questo, questo e null'altro è ciò che reclamo rannicchiato e intirizzito in un angolo della notte. Una tracolla di sogni conservati con cura: non è mai troppo tardi per sperare, è sempre un ottimo giorno per lottare. Illusioni? Vince chi lotta: ed è una guerriglia silenziosa e scura consumata con esseri che russano, quasi decomposti; umani sinceri gli umani della notte di cui gli umani del giorno temono lo sguardo. Ma essi hanno occhi che non mentono, non han pudori, puoi scorreggiare forte. Paura. Non io, che mi trovo a metà.
Lotta, lotta per un sogno di Libertà, sorseggiata a fiotti da un cielo piombo.
E poi... antichi volti apparsi inaspettati dall'ombra, un panino ad ingannare l'attesa e il gelo, il Tevere che scorre gorgogliante di scorie. Ah, eterno fiume, tu vivi! Tu sopravviverai a noi carcasse del tempo limitato; troppo per ridurlo a ghirlanda decorativa dell'inutilità.
Ah, come brucia il freddo. E ancora punge quest'attimo, rovente, 4.20... l'ambito premio ruggente, vibrante, ah, mio Caronte, mio ultimo viaggio, linea N24! Ultimi sussulti, ultimi metri, ultimi scorci della notte che fu: un teatro, una birra, una lunga camminata per non lasciar in balia di fauci bavose una giovane donzella, Romeo e Giulietta, Ubu Re, Foscolo e Pascoli, un monologo, lo stesso da cui tutto partì: "mi hanno sistemato con un pezzo di carta" e con un pezzo di carta ti sistemo, oh notte! Poi, ancora, il buio e chi si risveglia già, gli umani del giorno si destano, con le paure, con le prigioni. "...con un pezzo di carta.." da lì partii, per ritrovarmi ora qua con una penna a lacerare l'oscurità. Un'attesa infinita, poi, la dimora, l'habitat, rifugio, meta. Io vivo, io lotto, io, libero in volo. Fine. Inizio..

Matteo Di Stefano
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venerdì 18 novembre 2011

E se non puoi la vita che desideri - Konstantinos Kavafis

(nell'immagine: Autoritratto n.2 di Davide Disca)

E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.


Kavafis Konstantinos
da Settantacinque poesie


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lunedì 7 novembre 2011

Fortuna - Silvia Scotto d'Antuono

http://2.bp.blogspot.com/_RMFUYvirAQs/TSimSGF-4SI/AAAAAAAAAGc/ACmMNdFH0Oc/s1600/magritte.jpg
(nell'immagine: gli amanti di René Magritte)

Silvia Scotto d'Antuono è una giovane attrice e poetessa romana. Questa poesia è tratta dalla sua prima raccolta La Donna e il Poeta - dedicata ad Alda Merini, alle donne e alle dee - che raccoglie una selezione dei lavori che vanno dalla maturità ad oggi.

***
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Mischiate le carte del nostro amore
si estrae la fortuna dall'urna della sorte.
Ho scelto una bambina
dai riccoli d'oro
bendata
affinché non vedesse
l'osceno pulsare di questa passione.

Di te ho riempito le notti
come d'un profumo d'unguento
che fa dolce il riposo.

Sono andata alla messa del Venerdì Santo
e ho unito le lacrime mie
con l'acqua di Dio.

Laverò così le tue piaghe
quando tornerai dalla guerra
e veglierò le tue notti
in preda al delirio.

Ho parlato alla Maga
e sorriso al suo amante indovino
per avere certezza del mio nuovo destino.



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domenica 6 novembre 2011

E poi...

http://www.bcreative.al/wp-content/uploads/2010/11/beautiful-2ddrawings-2d38.jpg
(nell'immagine: un dipinto di Vladimir Kush)

Siedi sul tuo muretto interiore
mangi luce nutrendo ombre
sgusci involucri senza guscio
hai un vascello ma non il mare
apri lo scrigno ed è vuoto
conti le dita e non bastano
dopo una porta un'altra porta
spira il vento e volano i fogli.

Matteo Di Stefano
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sabato 5 novembre 2011

Il Dono

http://www.maurocolombo.com/i-dipinti-dell-artista-mauro-colombo/dipinto-mauro-colombo-come-saro-da-grande-g.png
(nell'immagine: come sarò da grande, dipinto di Mauro Colombo)

Dammi acqua
perché non muoia

Dammi la rugiada
perché io sia erba

Dammi il sole
affinché possa vedere

Dammi una strategia
di pura sopravvivenza.

Matteo Di Stefano

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giovedì 3 novembre 2011

Bufera di sensi

http://www.codart.nl/images/RubensMedusaCa1615Hermitage.jpg
(nell'immagine: Medusa di Rubens)


Il sordido Tevere è esondato
dell'aver troppo versato
lacrime - anima mia, beltà -
pel nostro coro languente.

Sotto un macigno divelto
alla taciturna mia quiete
massacrato d'amore e peste
ho sgocciolato riverso;

di giorni felici un'eco
ancor ferisce e cuce scabra
la notte sanguinolenta, ultima
e prima; morta, e poi viva.
Matteo Di Stefano

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lunedì 31 ottobre 2011

Le tre parole più strane - Trzy Slowa Najdziwniejsze - The Three Oddest Words

(nell'immagine: un dipinto di Joan Mirò)

Poesia di Wisława Szymborska, poetessa polacca e vincitrice del Nobel per la letteratura nel 1996.
Futuro, Silenzio, Niente, tre strane parole esorcizzate in pochi versi, messe a nudo e private della loro particolare natura attraverso la poesia. Perché la poesia è un eterno presente che oltrepassa i tempi; perché la poesia è il suono dell'anima che silenziosamente prende vita su un foglio di carta e in esso si esalta nel suo canto muto; perché poesia può essere tutto, fuorché Niente.

***

Quando pronuncio la parola Futuro
la prima sillaba va già nel passato.

Quando pronuncio la parola Silenzio,
lo distruggo.

Quando pronuncio la parola Niente,
creo qualcosa che non entra in alcun nulla.



Traduzione di Pietro Marchesani



Lingua originale: Trzy Slowa Najdziwniejsze


Kiedy wymawiam słowo Przyszłość,
plerwsza sylaba odchodzljuż do przeszłści.

Kiedy wymawiam słowo Cisza, niszcz ęją.

Kiedy wymawiam słowo Nic,
stwarzam coś, co nie mieści się w żadnym niebycie.


English version: The Three Oddest Words


When I pronounce the word Future,
the first syllable already belongs to the past.

When I pronounce the word Silence,
I destroy it.

When I pronounce the word Nothing,
I make something no non-being can hold.



Translated by S. Baranczak & C. Cavanagh



Wislawa Szymborska
da Attimo. Testo polacco a fronte


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venerdì 21 ottobre 2011

10 minuti di fluidità

http://www.enricogenovesi.com/img/sogno-part.jpg
(nell'immagine: Sogno, di Enrico Genovesi)


14.23, da un secondo, il dito schiaccia il suo primo tasto. Vorrei, sentire il vento che mi scaraventa indietro, mentre canto ritto sul tetto di una macchina in corsa sulla Route 66. Il brivido del disequilibro, il deserto, il vento, la voce che lotta col l'aria violenta schiacciata nella bocca. Il volo, lo schianto, mille frammenti, il suono di una chitarra che non demorde. Vorrei, disperdermi come spuma negli oceani di un cielo liquido, navigare o rinchiudermi in uno smeraldo verde, discendere all'inferno, giocare a scacchi una partita di vita o morte. Dieci esistenze, vorrei; una per ogni cosa, per ogni follia, per ogni scelta, per i più grandi sbagli, per i più grandi romanzi, per sperimentare l'assenza di ritorno. Una per potermi suicidare e raccontare alle altre nove cosa sono quei pochi attimi tra noi e lo schianto. Una per poter uccidere ed assaporare il sangue altrui, per invecchiare in una cella umida e riluttante, in compagnia di topi. Dieci respiri, alla ricerca di un senso, dell'imprevedibile, della condanna, dell'ascesa, della felicità, del nero più nero che annega nel bello. Galleggiare, variopinte voluttà, instabilità vaganti e trampoli, alti, fino a dissolute galassie del tempo passato. Incontrare Dio, provando stupore e quasi felicità; rallegrarsi che in fondo ti eri sbagliato. Godersi il momento del divino, arrancare, ridere, follemente, cercando infine qualcosa che sia più grande ancora di Dio. E non c'è mai limite alla sete. Sete, d'eternità, di riempire il proprio involucro vuoto, svuotato, ogni volta, senza posa. Sete...
Le 14.33, ucciso, ancora una volta, dal tempo.
Matteo Di Stefano


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mercoledì 19 ottobre 2011

Potessi almeno costringere - E. Montale

http://www.maurocolombo.com/i-dipinti-dell-artista-mauro-colombo/dipinto-mauro-colombo-la-maschera-g.png
(nell'immagine: un dipinto di Mauro Colombo)

***

Potessi almeno costringere
in questo mio ritmo stento
qualche poco del tuo vaneggiamento;
dato mi fosse accordare
alle tue voci il mio balbo parlare: —
io che sognava rapirti
le salmastre parole
in cui natura ed arte si confondono,
per gridar meglio la mia malinconia
di fanciullo invecchiato che non doveva pensare.
Ed invece non ho che le lettere fruste
dei dizionari, e l’oscura
voce che amore detta s’affioca,
si fa lamentosa letteratura.
Non ho che queste parole
che come donne pubblicate
s’offrono a chi le richiede;
non ho che queste frasi stancate
che potranno rubarmi anche domani
gli studenti canaglie in versi veri.
Ed il tuo rombo cresce, e si dilata
azzurra l’ombra nuova.
M’abbandonano a prova i miei pensieri.
Sensi non ho; né senso. Non ho limite.

Eugenio Montale
Ossi di Seppia


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giovedì 13 ottobre 2011

Corno Inglese - Eugenio Montale

Inserisci linkhttp://www.maurocolombo.com/i-dipinti-dell-artista-mauro-colombo/dipinto-mauro-colombo-lacerata.jpg
(nell'immagine: un dipinto di Mauro Colombo)

Il vento; lui sì che sa dove andare, non ha dubbi; conosce la sua forza, ha coraggio e soffia con energia. E' sempre sicuro di sé, sa che può essere melodia dolce o inarrestabile frastuono. Sa, che gli alberi son suoi amici per innalzare canti, che infilandosi in un tubo produce un suono come di flauto, o che può sibilare solo nell'aria in un lieve sussurro. Può anche dipingere, scolpire, modellare; può far fare viaggi infiniti. Il vento è tutto ciò che vuole, non ha insicurezze, conosce i suoi sentieri. A volte, noi, si vorrebbe essere come il vento: sicuri, decisi, armonia di suono e pittori di cieli; ma siamo così poveri e desolati, che non possiamo che sentirci di troppo.

***

Il vento che stasera suona attento
-ricorda un forte scotere di lame-
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l' orizzonte di rame
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lassù! D' alti Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell'ora che lenta s'annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore.

Eugenio Montale
da Ossi di Seppia


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lunedì 10 ottobre 2011

A Piermaria, ricongiuntosi alla terra nella foresta boliviana

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(nell'immagine: un dipinto di Augusto Daolio)



Sulla riva ove nascesti,
culla d'occhi tuoi ridenti
torni, da viaggi primordiali
fragile e interrotta scintilla.
Ancora io ho in mente viva
fanciullesca una rappresaglia
di pirati, briganti e tu: preda!
Innocente legato ad un fusto!
Che orge, che urla e strepiti
da quel tuo vociare prigioniero:
ti slegammo per la torta.
Otto, nove anni, non ricordo...

Chissà se nacque allora
quell'amor pe' l'alte cime
e l'infinito se, oltr'aghi e pigne
vedesti tu una verità brillare
che a te già voleva come figlio.

Aleggi ora Spirito nei boschi
raggio dischiuso d'eternità
penetri fra fitti rami e vivi
nelle viscere e inondi.. noi,
giovani briganti sospesi,
la torta in mano, per te
fanciullo...
Matteo Di Stefano

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giovedì 29 settembre 2011

Darsi presto per spacciati

(nell'immagine: Uomo allo specchio di René Magritte)

Già so d'esser vinto
già d'esser vincente,
già so d'esser tale
tal'altro, morte e vita.
Ah, fiato, corde e mani!
Vento, pioggia e foglie,
nevica da cima a cuore;
più dita che minuti,
più anni che sogni.

Matteo Di Stefano

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mercoledì 7 settembre 2011

Ricorre

(nell'immagine: due gomitoli)


Da me avrai sempre almeno

dei fiori, e un pezzo di cuore

abbondante; e l'anima, tutta.

Più di me non posseggo
costa cara oggi la luna
più d'umiltà e amore non ho.

Ti basta questo misero me
con tanto d'occhi e rughettepel nostro giorno dei giorni?

T'accontenti delle parole ancora
mai stanche d'elargir carezze sul ruvido di carta rinnovata?
Dalle mie luterane clausure
ancora so distillar profumi,

i soli odori che contano,

vuoi tu posar nel cuore

una goccia dell'umile essenza

dell'oggi per inebriarti domani?

Matteo Di Stefano


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sabato 3 settembre 2011

Brividi Invernali - Ernesto Ragazzoni


Ovverossia:
mettete
i piedi
in bocca...









Quando il verno sugli uomini dirocca
le sue valanghe, e tira vento e fiocca
e l’ombre calan giù l’orbe a conquidere,
io, se troppo serrato il gel mi tocca,
mi scaravento i piedi nella bocca.
Vi mettete a ridere?

Ma la cosa non è per nulla sciocca,
Anzi, se la stagion aspra v’accocca
la miseria de’ suoi brividi, dubito
che nulla valga meglio a chi l’imbrocca
che sprofondarsi i piedi nella bocca
per scaldarli d’un subito.
Vi mettete a ridere?

Ve’, la tormenta tappa in casa e blocca.
E fuori l’acqua gela nella brocca,
e trema il pesce, l’albero, il mammifero.
Candido, il piano par cristal di rocca.
Ed io m’allungo i piedi nella bocca...
Oh, del calorifero!

Ernesto Ragazzoni
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domenica 14 agosto 2011

Ballata (Buchi nella Sabbia) - Ernesto Ragazzoni

(nell'immagine: un dipinto di Vladimir Kush)


Se ne vedono nel mondo
che son osti... cavadenti
boja, eccetera... (o, secondo
le fortune grand'Orienti).
C'è chi taglia e cuce brache,
chi leoni addestra in gabbia,
chi va in cerca di lumache...

Io... fo buchi nella sabbia.

I poeti anime elette,
riman laudi e piagnistei
per l'amore di Giuliette
di cui mai sono i Romei!
I fedeli questurini
metton argini alla rabbia
dei colpevoli assassini...

Io... fo buchi nella sabbia.

Sento intorno sussurrarmi
che ci sono altri mestieri...
Bravi... A voi! Scolpite marmi,
combattete il beri-beri,
allevate ostriche a Chioggia,
filugelli in Cadenabbia,
fabbricate parapioggia

Io... fo buchi nella sabbia.

O cogliate la cicoria
e gli allori. A voi! Dio v'abbia
tutti quanti, in pace, e gloria!

Io... fo buchi nella sabbia.

- Ernesto Ragazzoni -



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venerdì 12 agosto 2011

I Virili


(nell'immagine: The Donkey di Gustave Courbert)


Che si levino i cannoni
fremon palle ai gladiatori
tesi e ritti gran caproni
feriti al corno degli onori.

Tiran calci ai menestrelli,
fan voce grossa alle donzelle,
eppur spauran per gli augelli
bruti inteneriti come agnelle.

Mi tiran dentro pel gran ballo
"Avanti, parla, che vuoi fare?"
gracchian impettiti più d'un gallo
"Grazie, prego, ci ho da fare!"

Coccodè! L'uovo è fatto!
L'insolente è sistemato
fuggito dicon come un ratto,
l'offeso onor rifocillato!

Ostinati ancor da mille fuochi
non placan più la lor cianfrogna
"Oh via bei ciuchi, non son che giuochi",
ma ottusi quelli invocan gogna!

Matteo Di Stefano
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giovedì 28 luglio 2011

La finestra infranta - Pessoa

Inserisci link(nell'immagine un dipinto di Mariusz Lewandowski)

poesia tratta dalla raccolta Il Violinista Pazzo di Fernando Pessoa; traduzione di Amina Di Munno.
***

Il mio cuore è silenzioso come uno sguardo.
C'è una casa al di là delle colline.
Il mio cuore è silenzioso come uno sguardo.
La mia casa è lì, dietro le colline.

Sopporto il mio cuore come una vecchia maledizione.
Non c'è ragione per il mio rimpianto.
Sopporto il mio cuore come una vecchia maledizione.
Perché mai argomentare o rimpiangere?

Il mio cuore vive in me come un fantasma.
Al di là delle colline giace morta la mia speranza.
Il mio cuore vive presso di me come un fantasma.
Al di là della mia speranza giacciono morte le colline.

Mi hanno strappato il cuore come la gramigna.
Non era vero che avrei dovuto vivere.
Mi hanno strappato il cuore come la gramigna.
Non potevo pensare che vivere fosse vero.

Ora ci sono grandi macchie nel mio cuore.
Ci sono macchie simili al sangue sul pavimento.
Ora ci sono grandi macchie nel mio cuore.
E il mio cuore giace sul pavimento.

La stanza ora è chiusa per sempre.
Il mio cuore ora è sepolto vivo.
Il mio cuore ora è chiuso per sempre.
Tutta la stanza è sepolta viva.


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mercoledì 27 luglio 2011

Scatola per topi


(nell'immagine un dipinto di Nikolai Yaroshenko)



Non un triangolo di cielo
un rosso palazzo sbiadito
sole che arrostisce intonaci
una serranda sempre chiusa
un vibrare di motori accesi,
tanto vedo e sento
dalla scatola per topi.


Matteo Di Stefano
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giovedì 23 giugno 2011

100 post (più uno): io e Pessoa.

(nell'immagine: un quadro di Vladimir Kush)


Siamo affascinati dalle ricorrenze, stregati dai numeri, come se racchiudessero qualcosa di magico, qualcosa che possa raccontare più di quanto già non sappiamo. O forse sarà che un numero, un aggregato, una ricorrenza è un qualcosa che ci fa tornare alla mente il tempo, il tempo passato a levigare i nostri talloni, quello su cui ancora cavalchiamo. E' un insopprimibile bisogno quello di contare, dal momento in cui ci hanno insegnato ad oltrepassare il muro delle cinque dita. E' essenziale? Ammesso che non siamo proprio noi a dover scovare l'equazione del mondo, penso proprio di no. Eppure, quei numeri ci chiamano, ogni volta, perché ci hanno insegnato a contare: maledetti. Sono cento. Con l'ultimo post sul Teatro Valle Occupato, Riflessi ha partorito il suo centesimo post, nuova, ennesima ricorrenza: c'è stato il compleanno a Marzo, i 5000 visitatori ed ora i cento post. Come se tutto questo abbia davvero importanza per qualcuno, se non per colui che decide di condividere una parte latente del suo mondo. Un po' come si fa coi messaggi nella bottiglia, lì si lascia andare sperando che qualcuno li trovi.
E' nato senza pretese, con umile sfondo nero, senza troppi espedienti grafici. Un muro sul quale scrivere, un mare sul quale navigare in stanche ore notturne. 56 poesie, 26 articoli sul teatro di cui 7 recensioni. Un luogo che si è andato via via formando da quel primo timido approccio di benvenuto. Che poi, nessuno lo leggerà mai o se lo leggerà non avrà poi tanto senso dire "Ciao, sono nuovo!". In fondo, anche i messaggi in bottiglia sono così: sai quando li scrivi ma non sai quando arrivano. Se arrivano. Arrivo, arriviamo? Noi? Noi chi? Noi, io e Riflessi o noi altri? Noi, tutti quelli che si sentono in questo Noi. In fondo Poesia è anche condivisione di un percorso, momentaneo, un passo comune un istante. Poi, per quel che riguarda me, i miei versi non mi importa quanto siano poesia, ma buttarli giù mi fa sentire come liberato. Dove si va, mio caro Riflessi, mia cara... poesia? Da qualche parte. E che dire di quei 56 visitatori dalla Slovenia? Dove andate, cosa cercate? Andate e basta. Pensavo di scrivere degli obiettivi, che in termini di blog si misurano soprattutto con le visite ma... ma no, in fondo nasce così, come un messaggio nella bottiglia, non ha pretese di arrivare, solo di andare. E andiamo....

Per la "ricorrenza" pubblico due poesie, una mia ed una di Pessoa. Insieme perché ho scoperto che per un attimo abbiamo condiviso lo stesso sentiero, per un caso fortuito coincidente in un "Dove?". E sempre di andare si parla, di un qualcosa di mutevole che c'è nell'aria (che è sinonimo di anima), del più naturale processo umano che è quello del divenire. Ma nessuno sa dove, nessuno vuole saperlo: si va, e basta.

Buon Postiversario Riflessi.

SETTEMBRE

Ho perso il sonno
o mai l'ho avuto,
grugnisco, torno, spero
sul tratto esile...

Settembre, come mai
il tempo mio scade,
dei malandati anni
sulla tomba piango
- poi, rido, da un anno.

Tutto insieme, Settembre,
le rese, e i rinnovi, e
vuole essere
non meno del tutto.

- Non sostiamo, andiamo.
Dove? Basta andare.
Matteo Di Stefano

***

SOGNI ARDENTI DI QUALCOS'ALTRO!

Sogni ardenti di qualco'altro!
Frenesia di andare via,
(Oh, onda che in me si ingrossa!)
via dalla vita, dove la vita deve rimanere -
vita sempre fino a oggi!

Altre cose e altri luoghi!
Non una vita! Non la mia almeno!
Oh, essere il vento, un'ala,
un veliero che mi portino lì!

Dove? Se lo sapessi,
non ci vorrei andare.

tratta dalla raccolta






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sabato 18 giugno 2011

Giving up smoking - Wendy Cope


(nell'immagine: Amore Senile di Alcibiade Cardanobile)


Non c'è di Shakespeare un sonetto
o di Beethoven un quartetto
che di te sia più facile da amare
o più difficile da scordare.

Pensi che sia bizzarro?
Non ho finito ancora
– mi piaci più di quanto mi piacerebbe
fumare una sigaretta.
Wendy Cope

Versione Originale

Giving up smoking

There's not a Shakespeare sonnet
Or a Beethoven quartet
That's easier to like than you
Or harder to forget.

You think that sounds extravagant?
I haven't finished yet –
I like you more than I would like
To have a cigarette.
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Il tuo mare


(nell'immagine: un'opera di Vladimir Kush)

siamo salpati
talmente in fretta
da dimenticarci la nave
(A.Bevilacqua)

***


Avrai il tuo mare calmo
la luna v'annegherà i raggi
ondeggianti come i pensieri tuoi
rigurgitante la macchia nera
ti parlerà, fraterna, ingenua
come il vagito d'un bambino.

Ha per te racconti di eroi
perseveranti nell'ora funesta,
la tempesta è grido dei sensi
il cuore ritrova coraggio
non ha vie di fuga il mare.

Avrai anche tu delle storie
piccole questioni irrisolte
perché da lasciare nella bottiglia
alla deriva, un infinito inspiegabile
e spuma, bianca spuma ridente.

Matteo Di Stefano

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lunedì 13 giugno 2011

Buongiorno Dama

(nell'immagine: un quadro di Vladimir Kush)

Che bello sarebbe svegliarsi
su una mongolfiera di nuvole

***

E campi
e cieli
e fiori,
e cascine solitarie
sul picco delle colline,
alberi intorno,
distese d'oro...

Matteo Di Stefano

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mercoledì 8 giugno 2011

Ingannarsi per gioco

(nell'immagine: "Libertà" di Ewelina Ozog)

***
credo che una poesia indedicata
rischi più facilmente di essere una superflua esibizione
(D.Rondoni)

***

Gli anni più belli
del furore ardente
dei viaggi, gli anni ostili
hai perduto della vita,
quando tutto può
cambiare, ancora,
e armeggi i giorni
come fossero ventagli.
Forte dei venti sfidi
le correnti, grande ala
dal vigoroso battito
e tutto può,
migrare.

Di qual ricatto perì
la libertina volontà?
Non di capricci s'è vivi
abbastaza da esser felici

e piangi ora, senza lune
le notti paiono prigioni,
trappola di sogni rigata
dal sale di troppe lacrime,
dello stesso tuo inganno
sanguini da carni lacere.

Vuoi rivolte, nuovi inganni
forse nell'aria svanire
chiedendo asilo ai Cieli d'Irlanda
ma più il tempo volgerà
nella cara anima tua gli anni;
- ed è morte ogni strattone
nuova, perenne disarmonia.

Matteo Di Stefano

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giovedì 2 giugno 2011

By the Round Pound - Wendy Cope

(nell'immagine: La Promenade di Claude Monet)

Guardi te stessa. Ed anche chi ti guarda.
Uno spettro sul muro del giardino.
Uno è lo spettro e l’altra, sì, sei tu –
sempre che entrambi esistiate davvero.

Che strano esser qualcuno dietro un volto,
avere un nome e sapere che è il tuo,
trovarsi in questo angolo di verde.
Una chiocciola osservi: avanza e sosta.

Tu stai seduta, e ti domandi quieta
fino a quando. Ti muovi? No, rimani.
Ignoto è il tessitore dell’ordito.
Scivola via un minuto dopo l’altro.


Original Version

You watch yourself. You watch the watcher too-
A ghostly figure on the garden wall.
And one of you is her, and one is you,
If either one of you exists at all.

How strange to be the one behind a face,
To have a name and know that it is yours,
To be in this particular green place,
To see a snail advance, to see it pause.

You sit quite still and wonder when you'll go.
It could be now. Or now. Or now. You stay.
Who's making up the plot? You'll never know.
Minute after minute swims away.


Traduzione di Silvio Raffo


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mercoledì 1 giugno 2011

L'angoscia del giorno

(nell'immagine: Soft Construction with Boiled Beans di Salvator Dalì)

Ho il suono sordo delle cantine
svuotate, l'umido tanfo del mosto
aggrumato sui fondi, inaridito
sulle pareti dell'inconsistenza.

Melma, vomito di me stesso,
riluttante riflesso agonizzante
e sempre d'un fremito vacillo
provo: ma non c'è esistenza, oggi.

Terra, nuda terra ch'io vorrei
mia compagna di quiete, sorella
asciughi tu quest'umido sospiro
che più non ha odor di vino.

Nel volo d'un passero insegue
lo sguardo un sogno di libertà
ma ricade, sempre, tra vuoti tini
dove il mosto ora sa di morte.

Matteo Di Stefano


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venerdì 27 maggio 2011

Pergolato in cielo

(nella foto: Heavenly fruits di Vladimir Kush)

E' una lontananza che arde
sotto il cielo dei chilometri,
ci ritroviamo languenti nei punti
di mezzo, gli occhi negli occhi
mi tieni e tiri il freno a mano
ancora, ancora un po', un centesimo
di tempo, un furto da nulla
del nulla trafitto e violato.

Si brucia in un attimo folle
un segreto donato agli alberi
o soffocato in un giro di chiave,
o d'una follia che vorrebbe almeno
essere; - ed è saluto veloce, vorace.

Matteo Di Stefano
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domenica 15 maggio 2011

Una poesia di Rondoni

(nella foto un quadro di Vladimir Kush)


Se così cadessero i petali come le tue palpebre
sull'azzurra cenere degli occhi
che dopo un attimo riappare

il tempo, le primavere
sarebbero l'eco del nome che porti.

Ma la prima fedeltà
il primo cuore che ti devo
è contare e onorare i giorni
che hai sul capo.

Perché io e te andiamo,
non restiamo qui.


Davide Rondoni
Il bar del tempo

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venerdì 6 maggio 2011

Gli applausi, la maschera, il camerino

E' quando torni nel camerino
che senti levarsi lieve un odore
di solitudine, è quando ti spogli,
lento, lasciando scivolar le vesti
che senti un urrà, un evviva
appena sussurrato, sognato.

Quando uno ad uno raccogli
i frammenti di te allo specchio
e togli la maschera e torni
umano, canticchiando assente
un motivetto malinconico,

quando ascolti ridere il pubblico
quando vorresti dirgli fammi ridere

quando ti vedono maschera gioconda
e a te non va nemmeno di scherzare

quando accendono le luci su di te
e nessuno più vede il buio dentro

quando, ancora nessuno vede il buio

quando capisci d'essere pura illusione
per te stesso, ti rifugi in camerino
lasciando scivolar via le false vesti,
uno ad uno i frammenti componi
e torni, a casa, senza una parola.

Matteo Di Stefano

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lunedì 2 maggio 2011

Nonostante tutto il tuo odore

(nella foto: Fiori del vento di John William Waterhouse)


E nonostante il fumo

t'abbia invaso i capelli

il bel viso mutando

in smorfie sprezzanti
,
nonostante abbiano i piedi

calpestato ripugnanze,
nonostante calde masse
nel limbo emanavano scorie,nonostante un tuffo in terra
ancora la tua pelleaveva il soave olezzo
d'una tenera albicocca.
Matteo Di Stefano


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martedì 26 aprile 2011

Furtiva mano di un fantasma occulto - Fernando Pessoa


(nella foto: Laguna di miele di Walter Mac Mazzieri; 1984)


Furtiva mano di un fantasma occulto
fra le pieghe del buio e del torpore
mi scuote, e io mi sveglio, ma nel cuore
notturno non trovo gesto o volto.

Un antico terrore che insepolto
porto nel petto, come da un trono
scende sopra di me senza perdono,
mi fa suo servo senza cenno o insulto.

E sento la mia vita di repente
legata con un filo di Incosciente
a ignota mano diretta nell’ignoto.

Sento che niente sono se non l’ombra
di un volto imperscrutabile nell’ombra:
e per assenza esisto, come il vuoto.

Fernando Pessoa

da Versi alla mano
(Antologia di composizioni poetiche legate o che fanno riferimento alla mano)
Crocetti editore 2004


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lunedì 25 aprile 2011

Dopo l'inverno - C.W. Aigner




Non è accaduto nulla.
Ho spaccato la legna e la legna
diceva della brace
Ventidue lettere
scritte due arrivate
Lo sguardo alla pioggia
come il vento la portava
sulle mani eppur cadeva
Un altro sono adesso

Traduzione di Riccarda Novello

C.W.Aigner
Prova di stelle
a cura di Riccarda Novello
Crocetti Editore 2001




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domenica 3 aprile 2011

Teatro: a te spettatore assente.

(Nella foto I Teatranti di Sergio Nardoni)


Scegliere di fare il teatrante nell vita è una mossa azzardata, un salto ad occhi chiusi nel vuoto. Non è un genere d'intrattenimento felice quanto la televisione, necessità di volontà e d'impegno, anche da parte del fruitore spettatore. Non c'è un divano a due porte dalla camera da letto, non c'è il telecomando, non c'è la possibilità di cambiare programma: se si è dentro si consuma l'intero spettacolo fino alla fine. La parola intrattenimento è fuorviante, sminuisce quello che è l'intera attività teatrale. Certo, può a volte aver la sola funzione di divertire, ma c'è nel teatro comunicazione, ricerca e riflessione sull'uomo e la vita, può essere veicolo di conoscenza e d'indagine su temi particolarmente sensibili. Il teatro è una complessa macchina che il più delle volte si muove in riserva: pochi soldi, poche soddisfazioni monetarie. Chi decide di farlo, lo fa per una ferma convinzione che il teatro sia uno strumento comunicativo superiore alle altre forme: più immediato, più stimolante per chi vuole riflettere, più "alto" rispetto a certi tipi d'intrattenimento che hanno puramente carattere commerciale. E' un impegno dicevo; non solo economico ma anche fisico: per lo spettatore significa spostarsi in città, faticare a trovare parcheggio, fare una fila al botteghino, mangiare prima o dopo la rappresentazione un boccone fuori casa. Il risultato poi, non sempre paga questo impegno. Spesso però, il fruitore di spettacoli teatrali è pienamente appagato; ci sono però altri tipi di pubblico, quello occasionale, quello composto dai conoscenti di un attore o regista, quello che va a teatro soltanto se invitato. Non ama molto le rappresentazioni, e questo forse più per una sorta di pregiudizio che per gusti personali. Se infatti tale individuo, notoriamente scettico e annoiato dal palcoscenico, potesse una volta scegliere uno spettacolo buono capirebbe che il teatro è tutt'altro che noioso. Anzi, può superare e supera tutte le altre forme. Rilascia energie e si viene risucchiati in un vortice di adorazione/amore che lega per sempre quello spettatore al settore del teatro. Non a caso gli spettatori sono abituali. Può capitare, certo, che per "colpa" di un amico qualcuno scopra il teatro e se ne innamori. Sono casi limite e limitati. Più diffuso invece è il fenomeno dei bucaioli: questi individui hanno un amico teatrante che li invita a tutti i loro eventi. E, se siete tra loro, è consigliabile non inventare troppe storie per dir di no. Il teatrante sa che la sua è una forma poco amata e sa, che per lo più le sue due date o poco più sono una seccatura. Soprattutto, il teatrante sa bene che s'inventeranno ogni sorta di scusa: fa parte del suo mestiere ricevere scuse. Perciò è altamente preparato in questo e capisce perfettamente che quel "mi dispiace ma" corrisponde ad un "non mi va ma non so come dirtelo". Bene, allora tanto vale essere franchi come disse un tempo un mio conoscente (evento che per anni ho rinfacciato, ma che adesso inizio ad apprezzare): - non vengo a vederti perché il teatro mi fa schifo.
In tutto questo non dico che il pubblico debba essere composto da conoscenti ma, soprattutto agli esordi, è difficile avere un pubblico stabile di spettatori fidati che ti segue soltanto per la tua bravura.

Credo che, rubare poche sere all'anno ad una persona sia un furto da niente. Davvero, è chiedere niente. Soprattutto perché non sono poi tante le sere di replica. Uno spettacolo ha una gestazione lunga e una morte fulminante: si consuma tutto in una sera. Mesi di prove si polverizzano in poche ore sulla scena. Poi più niente. Oppure, se sei fortunato, puoi fare nuove repliche ma il più delle volte non è così. Ed è una fatica che lo spettatore non immagina arrivare alla sera dello spettacolo: dietro ci sono tanti giorni di prove, tanti costi da sostenere e magari un lavoro che non si ama ma che permette di pagare le spese per andare alle prove. C'è tanto di quell'amore versato e che vorremmo trasmettere in quell'unica sera a quello spettatore che ha riposto fiducia in noi. Per questo non mi piace sentir campare scuse, per questo non amo, tra le tante cose, più di ogni altra cosa chi dice "la prossima volta". La prossima volta vuol dire altro sangue da sputare, altro sudore, altro amore da mischiare alla polvere. Perché è soprattutto l'amore e la passione a muovere, perché il più delle volte la ricompensa è assai minore dello sforzo prodotto. Ma è così; lo si fa per amore, e sarebbe felice quel teatrante veder fuori dai camerini almeno gli amici più cari oppure qualche conoscente ogni tanto. Sarebbe felice, di non sentirsi dire la prossima volta, perché non è un film che puoi vedere in Dvd quando vuoi o un picnic in una giornata di sole. E' l'emozione, lo sforzo di tanti mesi che si consuma in una sera: la prossima volta non esiste. Lo spettacolo inizia e muore nell'arco di poche ore, non ci sarà prossima volta. La prossima volta è il giorno stesso. La rinuncia è un'occasione persa che non si ripeterà più, o se si ripeterà non sarà comunque la stessa. Per questo, caro spettatore, ti dico di dirlo francamente. Conosciamo ogni tua scusa, ogni tua bugia: è il nostro mestiere raccontarti le tue bugie.

Alessandro Giova


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domenica 27 marzo 2011

Primavera nuova

Vorrei solo incontrare le tue mani,
lasciare che mi guidino, fin dove vorranno
o che mi stringano, eterne, silenti,
lontano dal tutto in placide notti
finché l'ultima stella non muoia
e l'alba torni a ricordarmi il tuo volto.

Non vedi come tremano le mie
s'agitano nel vuoto di profondi pozzi,
l'acqua alla gola, le dita aggrinsite
inesorabili scivolano su muschi vischiosi;
e il tanfo marcio di funghi e muffe
lacera i sensi, non fatemi respirare!
Eppure, questa carne straziata
ha ancora un'ancora: pensa.
Invano si divincola dall'oscura melma
e vorresti spaccare l'enorme clessidra
quei granelli, quello stridio di sabbia
le orecchie non vogliono più udire;
e allora, niente in un tempo disperso,
niente rimarrebbe, neanche l'attesa.

Cos'è ora quest'inconsueto silenzio?
Son forse morto? Non vedo, non odo
non più respiro, non più sento il freddo,
le ferite hanno smesso di sanguinare
svanito è il tormento alle mie ore. Eppure...
Penso, e son magma vivo di parole, cerco
suoni che più le orecchie udiranno
colori che più gli occhi vedranno
strade che i piedi non percorreranno. Eppure,
ancora scalpita questo vivo pensare:
che il pensiero, elevandosi, divenga eterno?
Portami allora pensiero sugli antichi navigli
fammi percorrere le vie dell'aria
che solcavo in seno al mio vascello,
ah, come si gonfiava allora il mio cuore!
E volavo...

Mi pare di sentire davvero quel sibilo
scuotere le vele e i ciuffi d'erba turbare
tra le foglie vibrare e morire sulla pelle;
pare di vedere gigli inchinarsi al sole
le api corteggiare i fiori e ancora
i sensi inebriare ai morbidi effluvi
dei ronzii dei canti estatico succhiare
brioso ubriacarsi d'ogni tipo di nettare:

- non era la morte; dormivo sognando
macabri pozzi e solitari deliri, mani
protese dalle lunghe dita eleganti
salvarmi, improvvisa luce, primavera.


Matteo Di Stefano

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lunedì 7 marzo 2011

Di notte - Lars Gustafsson

(nella foto: Lo specchio di Umberto Verdirosi)


Guardandomi fuori mi vedo imperfetto,
guardadomi dentro talora nemmeno mi trovo.

***

Come quando di notte alberi e vento
insieme sembrano mossi da un terzo
che è la tenebra fitta che ti è accanto,
allora i tuoi pensieri indietreggiano.

All’orizzonte una luce d’alba.
Esiste per qualcun altro,
da te è lontana;
il suo debole moto è il tempo.

Di notte qualcuno si sveglia,
il suo cuore batte forte.
Non sa piú chi è,
il suo nome non ha piú alcun significato.

Lars Gustafsson
da Sulla ricchezza dei mondi abitati
Crocetti Editore 2010




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venerdì 4 marzo 2011

Il fantasma di una principessa (2)

Era marzo, io m'innamoravo
soffocando nella corsa i deliri,
l'urlo dilaniava i verdi campi,
andava e veniva un fantasma
dalle lunghe dita esitanti
al ticchettio d'attesa alla tastiera,
stringevano un cuore ingeneroso
che mai i palmi le baciò.
Si sarebbero incontrate clandestine
mentr'io volgevo al cielo implori
quelle dita ancora a me ignare.
E poi frementi avrebbero scartato
(dolce candida purezza innocente
le mie mani hanno lo stesso colore)
le missive d'un cavalier senza fiato.

Ah, se rivedo gli affanni
di sere troppo nere per salvarmi
dai turbamenti della ragione:
Cuore, ecco quel ch'è stato!
Quello rubato o quello non dato
quale bacio è stato più freddo?
Di più, certo, il bacio ingannato.

Tenera luce che t'affacci,
ora che i tuoi raggi han forma
di non vani tormenti è ancora
Marzo, al mattino presto, e smanio
di vederlo ancora accanto.

Matteo Di Stefano
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domenica 27 febbraio 2011

L'angelo delle tangenziali - Davide Rondoni

(nella foto: Henri Julien Fèlix Rouseeau - La Zingara addormentata)


Stava seduto una notte sul guardrail
nella luce spiovente d'arancio
d'un grande lampione.
La nebbia
rancida
bagnava - -
La vita, diceva,
bestia la vita,
mentre lo sfiorava la voluminosa
carezza dei tir
che vanno come sogni in autostrada.

Non mi trovo più addosso
un gesto solo che sia vergine
che sia d'alba,
diceva fissandosi le mani,
e di pianto scimuniva.

(Lo incontro mille volte al ritorno
da chissà dove
quando i viaggi nel sonno finiscono
su morartiane
o vascorossiane tangenziali
e poi si disfano in cunicoli,
mio povero angelo
il mio e di ostinati come lui - -)
o mia vita, ripeto e ripeteva,
che non senti l'alba
nelle ossa e nelle giunture,
ma il sale e solo il vento
che dirada mai, che si placa mai.

Davide Rondoni
Il bar del tempo
Ugo Guanda Editore



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venerdì 25 febbraio 2011

E poi ritrovi te stesso...



A volte i libri,
sembrano davvero raccontare di noi.


(...) Dalla finestra del soggiorno dell'edificio di legno in Libery Street si vedeva tutta San Francismo bruciare rossa e verde nella notte di pioggia. Dean fece la cosa più ridicola della sua carriera in quei pochi giorni che passai con loro. Torvò un lavoro che consisteva nell'andare di casa in casa con pile di opuscoli e di campioni chegli aveva dato il rappresentante di una nuova pentola a pressione, e mostrarne il funzionamento alle massaie. Il primo giorno era un uragano di energia. Girai con lui per tutta la città a fissare appuntamenti. L'idea era di farsi invitare a una cena e a un certo punto saltar su e far vedere come funzionava la pentola a pressione. "Ragazzi" esclamò Dean tutto eccitato "questo lavoro è ancora più pazzesco di quello che facevo per Sinah. Sinah vendeva enciclopedie porta a porta a Oakland. nessuno riusciva a sfuggirgli. Sparava lunghi discorsi, saltava su e giù, rideva, piangeva. Una volta ci introducemmo nella casa di un Okie dove tutti si stavano preparando per andare a un funerale. Sinah si mise in ginocchio e cominciò a pregare per la salvezza dell'anima del defunto. Si misero tutti a piangere. Vendette un'intera partita di encicolopedie. Era l'uomo più pazzo del mondo. Chissà dov'è adesso. Stavamo addosso alle figlie giovani e carine e giù certe palpate in cucina. Oggi pomeriggio ho trovato una delizia di donna... siamo andati nella sua bella cucina, le ho messo un braccio intorno alle spalle e avanti con la dimostrazione. AH! Ummmm! Fantastico!"
"Continua così, Dean" dissi. "Forse un giorno ti faranno sindaco di San Francisco." Aveva preparato il numero della pentola a pressione in tutti i particolari; la sera faceva pratica con me e Camille.
Una mattina lo trovai nudo davanti alla finestra, guardava San Francisco al sorgere del sole. Aveva l'aria di voler diventare davvero il sindaco pagano di San Francisco, un giorno. Ma le sue energie si esaurirono. Un pomeriggio di pioggio arrivò il rappresentante delle pentole a pressione, voleva sapere dove si era cacciato Dean. Dean era sdraiato sul divano.
"Hai cercato di vendere queste pentole?"
"No" disse Dean "devo cominciare un altro lavoro."
"Be', e cos'hai intenzione di fare di tutti questi campioni?"
"Non lo so." In un silenzio assoluto il rappresentante prese su le sue tristi pentole e se ne andò. Io ero disgustato da tutto e da tutti, e Dean anche. (...)

Da Sulla Strada
di Jack Kerouac



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lunedì 14 febbraio 2011

Binari

(nella foto: Le modèle rouge - René Magritte)

L'infinito non si nega neppure ai cani,
ridice uno, tremendamente.
(D.Rondoni)

Ci passa un attimo

uno sferragliare
di rotaie
sul dolore.

Avessero visto
questi occhi d'ombra
m'avrebbero afferrato
dai lembi bruciati
del cuore
- per non tardare.

Eccomi invece
fantasma
schiudere il guscio
di larva
dimenticata.

Matteo Di Stefano

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