mercoledì 29 settembre 2010

Ex Amleto di Roberto Herlitzka


E pensare che mai nessuno gli aveva offerto di interpretare Amleto. Il sommo Amleto, croce e delizia dell'attore, il personaggio che o ti brucia una carriera o t'innalza a gloria eterna. Incubo e amore. Amleto lo vediamo ogni anno in cartellone: dai laboratori alle accademie, dai grandi teatri ai piccoli teatrini di provincia; lo vediamo in chiave classica, moderna, rivisitato, sia in una veste formalmente fedele alla gravità della storia, sia una veste più parodistica (come in Amleto a pranzo e a Cena di Oscar De Summa). Tutti vogliono fare Amleto, pochi hanno la stoffa per farlo realmente. Capita però, a volte, che chi non ha la stoffa possiede però la faccia tosta di presentarsi di fronte al pubblico e dire "io sono Amleto"; può capitare anche, che chi quella stoffa, quella padronanza necessaria a domare l'inquieto Amleto ce l'ha, gli venga a mancare per tutta la vita l'occasione di calarsi nel personaggio dei personaggi. Roberto Herlitzka è uno di quelli che la stoffa ce l'ha, ma mai nessuno gli ha offerto la parte di Amleto, così, ha deciso di farne uno tutto suo. Il suo è un ExAmleto, perché Amleto è un giovane principe, invece Herlitzka ha la bellezza di 73 anni. Anni portati benissimo, anni che il teatro spazza via in un monologo mozzafiato nel quale il grande attore italiano si diletta nel più improbabile Amleto: uno spettacolo che vede solo le battute del principe Danese. Lui, Roberto Herlitzka, interpreta magistralmente il ruolo, si confronta con tutti e con nessuno, parla con gli altri personaggi che non ci sono, fantasmi scenici sì, ma allo stesso tempo fantasmi dello stesso Amleto. Tutti gli anni della sua carriera, tutto il repertorio di movimenti, di impostazioni vocali sciorinate in una lunga staffilata di parole, senza sbavature, senza dimenticarsi di quella sfumatura su "Livrea", senza omettere quella pausa necessaria per far tirare al pubblico un sospiro, senza ignorare il fatto che, data la gravità del personaggio, un interpretazione solitaria necessita di una certa dose di ironia per non spazientire il pubblico pagante. Quindici euro spesi bene, ma lo sarebbero stati altrettanto trenta.
Quest'uomo canuto ci mostra per una sera il teatro, col suo Amleto, desiderato forse per una carriera intera e arrivato sulla scena ad un'età che per altri significherebbe uscita dalla scena. Lui no, lui è come se fosse un novello, è come se avesse di fronte a se 50 anni di carriera ancora da percorrere (magari!) ed energie da liberare; e quando esce a prendersi gli applausi interminabili ci regala un umile inchino, quasi a voler dire "in fondo, cosa ho fatto di così straordinario?".
Le mani, formano linee perfette, le espressioni assumono molteplici forme. La scena? Una sedia, una luce puntata su essa, una spada poggiata in terra, un teschio anch'esso in terra, un leggio. Una scena spoglia, perché tanto basta a fare del buon teatro. Alla fine, quell'Amleto tanto decantato, tanto sperimentato malamente, diviente attraverso l'interpretazione di Herlitzka la migliore sperimentazione, alla faccia di quelli che credono alla sperimentazione come accozzaglia di immagini, incomprensibili visioni, insulti senza scrupoli al testo. L'ExAmleto di Herlitzka, è invece un Amleto integrale, almeno per quel che riguarda la parte principale, che alterna momenti di tensione ad altri di ironia. E diviene esperimento perché è il suo modo di comunicare Amleto; sperimentare infatti vuol dire ricercare un modo di comunicare e non, inventarsi metodi improbabili e incomunicativi. Invece ecco, per una sera, assistiamo a del buon teatro: perché come dice un altro uomo che vive di palcoscenico, seppur a livelli più dimenticati, per vedere il buon teatro non serve tanto, basta una sedia illuminata ed un attore (buono) in abito scuro.

Recensione a cura di Alessandro Giova

Visto il 28/09/2010 presso il Teatro Lo Spazio, Via Locri 42, Roma
Repliche dal 29 settembre al 3 ottobre


Autore: William Shakespeare
Regia: Roberto Herlitzka
Genere: tragedia
Compagnia/Produzione: Teatro Segreto Srl
Cast: Roberto Herlitzka


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domenica 26 settembre 2010

La città dei pigri

Potrebbe esserci un vago sentore calviniano in quello che sto per proporvi. In realtà, sembra quasi una città mancante delle Città Invisibili di Calvino. Prima di gridare al plagio però, si rifletta un poco: è possibile che un uomo scriva un racconto che ricordi quello di qualcuno. Certo, in questo caso, avendo letto le città invisibili, potrei finire presto nello scandalo. Tentativi di plagio non ce ne sono.
La città dei pigri ha un suo percorso. Nasce da riflessione su di una osservazione sulla pigrizia: nelle nostre giornate, caratterizzate da corse frenetiche spesso ignoriamo le piccole azioni. O meglio, arriviamo alla conclusione che quella piccola azione è per noi un peso infinito. La rimandiamo, e questo la aggiunge alle cose da fare nel giorno successivo. C'è il rischio, adottando questo metodo, che si accumulino cose da fare, trasformando quella piccola azione in un'ora di lavoro. Perché rimandiamo? Per fatica o per pigrizia? Essendo l'azione piccola, non possiamo definirla faticosa. Pertanto, la conclusione è: pigrizia!
Allora, mi sono immaginato un pigro ideale, moderno, completamente integrato ad una realtà, quella odierna, dove la macchina sostituisce l'uomo dal lavoro alla fantasia. Ci imprigriamo di fronte a tanta comodità, tanto da perdere la volontà di fare piccole cose (cose enormi!). Poi ho immaginato un pigro in mezzo a tanti altri pigri. Ne è venuta fuori una città di pigri, con le sue regole, le sue convenzioni o abitudini, e quell'infinità di pigrizie irrinunciabili.



La città dei pigri


Ho visitato molte città, ma nessuna finora mi ha sorpreso quanto la città dei pigri: i suoi abitanti sbadigliano tutto il tempo. Non hanno voglia di far niente, né lavorare, né svolgere le funzioni più elementari. Stanno stravaccati sul divano nel tempo libero, con il telecomando sulla pancia e, senza pulpiti o smorfie o sussulti, ammirano il paesaggio luminoso sgorgante dallo schermo. Non si alzano mai: hanno accanto una bottiglia d’acqua, qualche sacchettino di frutta essiccata e i fumatori un pacchetto di sigarette. L’accendino, solitamente poggiato sulla pancia, scivola spesso lungo il fianco; questo crea non pochi turbamenti al pigro, in quanto nell’intento di cercarlo è sottoposto a grandi sforzi. Due sono le possibilità: il pigro sente l’accendino premere sul fianco della schiena e - non facile operazione - si contorce cercando di recuperarlo senza alzarsi; prima col sinistro, poi con il destro in una posa da contorsionista. Il tutto accompagnato da sbuffi e rantoli di fatica. La seconda possibilità, consiste invece nel non aver idea di dove si trovi l’accendino, spingendo il pigro ad un’istintiva e faticosa alzata. Si guarda frastornato intorno, da una scrollata alla federa, magicamente vede riaffiorare l’oggetto tanto ambito e tra mille parole in successione, delle quali non se ne raccomanda l’uso, crolla di nuovo tra le brame cuscinose. Capita sovente, che nell’intento di cercare un accendino, il pigro incappi in una successione continua di sparizioni di oggetti: sposta il telecomando, cuscini e via dicendo. Nel fare ciò, non s’avvede che questi escono dall’orbita circoscritta dal raggio di un braccio umano: questo accadimento in genere, diviene informazione nota soltanto una volta che il pigro ha riassunto una posizione comoda. Tali inconvenienti possono turbare, e non di poco, l’umore del pigro.

Neanche le normali funzioni biologiche agiscono favorevolmente sulla volontà del pigro. Infatti, gli abitanti della città dei pigri, vanno al bagno soltanto una o due volte al giorno. Per riuscire efficacemente nella riduzione dei transiti, adottano una vera e propria strategia: non vanno mai al bagno per una funzione isolata. In genere, svolgono le due funzioni simultaneamente; ciò fa si, che nel caso si abbia un solo stimolo, si aspetta sopraggiungere anche l’altro. I gruppi più estremisti, attraverso una severa disciplina di autocontrollo, riescono spesso ad andare una volta ogni due giorni. Hanno una grandissima resistenza fisica e si recano ad espellere i propri scarti corporei soltanto quando sono spinti da forti dolori ormai insopportabili.
Per quanto riguarda l’aspetto culinario, i pigri non sono grandi amanti della cucina – o perlomeno, non amano l’aspetto del fare in cucina – pertanto non cucinano quasi mai. Quando preparano da sé la cena, mangiano pagnotte di pane a morsi, frutta che si può mangiare con la buccia, latticini non spalmabili e ortaggi crudi. Mangiano quindi, soltanto quei cibi che non necessitano di sporcare stoviglie, perché nessuno le laverebbe. Certo, si potrebbero usare piatti, posate e bicchieri in plastica, i quali necessiterebbero soltanto di essere gettati, ma ciò è da escludere perché non è consigliabile cucinare con una padella di plastica. Perciò, la maggior parte della popolazione, ordina il proprio cibo telefonicamente e questo gli viene recapitato da fattorini. Un tempo, erano presenti numerose bettole e taverne che svolgevano questo servizio. Poi, il progressivo impoltronire, ha fatto sparire queste attività. Ora il servizio è svolto dalle città vicine; le portate vengono fatte viaggiare in speciali recipienti che finiscono di cuocere le pietanze durante il viaggio. Questo è reso necessario dal grande traffico che c’è nell’ora dei pasti e, per evitare che le pietanze arrivino fredde ai destinatari, i leader del settore della ristorazione hanno messo a punto questi speciali recipienti. Si è scatenata una vera e propria guerra per servire i cittadini della città dei pigri e molte aziende, previo pagamento di una maggiorazione del 15%, offrono anche il servizio di smaltimento degli scarti.

Molte persone svolgono un lavoro da casa: chi intreccia capelli per parrucche, chi svolge attività di commercio elettronico, chi impartisce lezioni private. C'è anche, però, chi non può permettersi un lavoro da casa e quindi è costretto ad uscire. L’orario di lavoro è ridotto a cinque, è prevista una pausa di cinque minuti ogni venticinque, ottenuta dopo aspre lotte sindacali. Dopo due ore e mezza, al lavoratore è concessa una pausa aggiuntiva di 1 ora nella quale può vedere un po’ di televisione. Non avendo voglia nemmeno di vestirsi, gli abitanti di questa città, adottano diverse strategie per ridurre i propri sforzi. Molti non tolgono mai il pigiama, che costituisce una seconda pelle. Proprio per questo, sono stati studiati speciali pigiami che si adattano, sfruttando il calore corporeo, al corpo di chi lo indossa. Ciò consente di mettere i vestiti sopra il pigiama senza ingombro eccessivo. Altri invece, non usano pigiama, ma dormono vestiti in maniera tale che non debbano disperdere le energie nella vestizione. Portano per quattro o cinque giorni lo stesso abito, che viene poi gettato nella immondizia. Un gruppo altamente stravagante invece, si fa confezionare diversi vestiti di numerose taglie, per dar l’impressione che ogni giorno cambino veste; mettono ogni giorno una taglia più grande cosicché non siano costretti ogni giorno a spogliarsi per mettere un abito nuovo.
Le docce sono costituite generalmente da box spruzzanti vapore e sapone. Molti si lavano con tutti gli abiti in dosso, superando l'inconveniente del lavare separatamente gli indumenti.

Un lato positivo della città, è costituito dall’assenza di automobili – a parte quelle dei fattorini duranti i pasti. Infatti, la città è dotata di un complesso sistema di trasporti pubblici, composto da tappeti mobili trasportanti capsule monoposto; in un complicato intreccio il tappeto mobile raggiunge tutte le vie, nonché tutte le abitazioni fino allo zerbino. Quindi, gli abitanti, escono sul proprio zerbino, montando sulla prima capsula vuota disponibile. Il sistema è attivo 24 ore su 24. Nelle capsule è presente un piccolo schermo, il quale è utilizzabile sia come televisore, sia come video-chat per comunicare con i passeggeri delle altre capsule. Ogni palazzo è munito di ascensori esterni. Uno per ogni lato, collocati alle estremità angolari. Tutti gli ingressi dei piani sono esterni e collegati con l’ascensore, in quanto da tempo non si usano più ingressi centrali dove si accalcavano code di gente. Ora, ognuno può andare diretto al suo piano senza dover passare dal centro. A parte qualche vecchio palazzo, non ci sono scalinate; le fotografie delle scalinate sono raccolte in un album ed esposte nel museo telematico della città.
Ci si potrà chiedere, se in questa città di svogliati, la gente abbia voglia di morire. Come in tutte le città del mondo, la morte non è evento desiderato. Il timore più grande per gli abitanti della città, è proprio quello di dover scomodare la propria anima da posizioni agiate. Il terrore che ci sia una vita dopo la morte è molto accentuato tra gli abitanti; pensare di dover intraprendere un viaggio verso nuovi mondi, senza sapere con certezza se vi sia o meno un sistema di tappeti mobili, genera timori che spesso sfociano in scontri sociali tra credenti e non credenti. La religione ufficiale locale predica l’inesistenza di Dio e della vita dopo la morte. L’uomo nasce pigro e pertanto non può esserci un aldilà che concepisca un fare attivo. Ciò porta all’esclusione di Dio, perché se un Dio avesse creato l’uomo, questo sarebbe stato a sua immagine e, essendo la creazione un attività creativa rientrante nell’ambito del fare, questo escluderebbe l’esistenza di organismi pigri. Dato, però, che si ha una concreta testimonianza dell’esistenza di organismi pigri, ciò porta ad escludere l’esistenza di Dio. Gli atei, invece, non credono che Dio non esista: sostengono che questo creò per l’appunto l’uomo a sua immagine e somiglianza. L’uomo è nato da un non fare. Dio è a sua immagine e somiglianza, pertanto pigro: ciò significa che Dio non può aver creato l’uomo perché pigro. Proprio perché un Dio che non voglia creare è un Dio pigro, essendo inoltre l’uomo pigro, automaticamente si arriva alla conclusione che un Dio c’è, ed è pigro, ovverosia ad immagine e somiglianza dell’uomo. Tuttavia sono ancora inspiegabili i perché, un giorno, Dio scese dal suo divano per creare l’uomo. La tesi più accreditata è che si fosse perso l’accendino e, dopo un’estenuante ricerca, sia entrato in una spirale virtuosa del fare, creando così l’uomo, in una manciata di minuti. . Forse queste sono destinate a rimanere teorie, forse, la città dei pigri è destinata a diventare ricordo. Nella città dei pigri infatti, da tempo non nascono più figli. Gli uomini e le donne hanno smesso di fare l’amore. I loro rapporti da decenni sono fatti solo di parole e più nessuno ha contatti fisici con altri individui. Ci si limita a dichiararsi affetti, senza realmente pensare al sentimento che glielo fa dire. L’amore, è ormai uno scambio di cortesie: nessuno ha voglia di impegnare mente e corpo in un rapporto fisico. Oggi il più giovane abitante della città ha 47 anni e questa vede inesorabilmente diminuire il numero di abitanti. Non si vedono mai nemmeno forestieri, perché questi temono di essere contagiati dalla pigrizia che affligge la città. Non si sa quando tutto questo abbia avuto inizio. Si dice sia iniziato tutto da una sciocchezza: un piatto non lavato, un’assenza a scuola o una scelta non fatta. E da lì, piatti che s’accumulavano e menti decadenti. La pigrizia è andata allargandosi, contagiando un’intera generazione, coinvolgendo tutte le attività degli uomini. Si sono inventati macchinari, passatempi da divano, robot, tutto per venire incontro alle lacune lasciate dai pigri che ogni giorno hanno preteso di più. Le loro volontà si sono spente, fino al completo annullamento, fino a rinunciare alla madre di tutte le attività: rimarrà un ultimo uomo, troppo pigro perfino per soffrire di solitudine, prima del fiorire di una nuova era, di polveri e ricordi.



di Matteo Di Stefano
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venerdì 17 settembre 2010

1000 visite e una finestra stretta.


Riflessi al margine compie 200 giorni oggi! E proprio nel giorno in cui festeggia il suo complegiorno taglia un importante traguardo: le sue prime 1000 visite! Un grazie a tutti i visitatori. Per l'occasione, anziché una poesia, riporto il dialogo conclusivo di un ambiguo racconto di Fernando Pessoa dal titolo La finestra stretta, racconto prensente nella raccolta "Racconti dell'inquietudine"

........
"Il ragionatore, se è davvero un ragionatore, ha lo scrupolo dell'astrazione, lo scrupolo di eliminare quanto più possibile la sua personalità. Ce l'ha naturalmente, perché è ragionatore per temperamento e non per volontà. Ma, se questa è, in effetti, la corretta strada del ragionamento, a volte è la strada scorretta. Il ragionatore elimina le intuizioni, e fa bene; ma a volte le intuizioni sono giuste e in tal caso ha fatto male. Il ragionatore elimina i preconcetti del temperamento o della professione, e così deve fare; ma a volte questi preconcetti lo porterebbero sulla buona strada e, quando li abbandona, abbandona anche quella buona strada. Qui Abìlio, quando ragiona, tenta di trasformasi, spontaneamente, in una macchina per ragionare. Sveste l'Abilio, sveste il Fernandes, sveste il Quaresma; sveste l'avere quaranta e rotti anni - quarantotto, no?"
Quaresma annuì col capo.
"... Sveste l'essere un medico, sveste l'abitare a Rua dos Fanqueiros - insomma, signori miei, si separa da tutto ciò. Ora, in questo caso si è comportato come in tutti gli altri, e in una cosa ha fatto male. Ha fatto male a dimenticarsi di essere un medico. Se gli fosse passato per la testa -cosa che non poteva succedere - che la finestra stretta poteva essere considerata dal punto di vista medico, la soluzione sarebbe stata a portata di mano, a portatissima, come direbbe un ragazziono che ho conosciuto tempo fa."
"Ma," intervenne Guedes "come può una finestra stretta essere considerata da un punto di vista medico?"
"Come fenomeno di simulazione o finzione isterica"
Da La finestra stretta di Fernando Pessoa


È nato Colpi di Penna: dai un'occhiata, clicca qui
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mercoledì 15 settembre 2010

Malinconia

Accarezzo banchi di nuvole
fluttuanti di malinconie.
Leggendo le vecchie parole
rivedo musicali sorrisi.

Ci meritiamo quell'infinito
o il piombo di queste notti?

Quanto lunghi i tempi appaiono
distanti d'appena un battito
nei respiri di lune straniere,
di luci accese negli occhi.

Nel buio una mano m'avvolge
le dita han profumo d'ortica.

E come una morsa sul cuore
un urlo, sì flebile lamento
inquietante spreme Tenebre
gocciolanti d'amare voglie.

Matteo Di Stefano
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martedì 14 settembre 2010

I Seduti - Les assis di Arthur Rimbaud

Per comprendere appieno questa poesia, bisogna che vi si racconti una piccola storiella. Rimbaud frequentava il secondo liceo ed era solito marinare la scuola; si perdeva in lunghe passeggiate, e, quando si sentiva stanco, si recava alla Biblioteca Municipale di Charleville chiedendo volumi malsonanti per le orecchie del vecchio bibliotecario. Libretti orientali, antichi volumi scientifici, opere di Favart. Il vecchio, brontolando, bofonchiava al poeta monello di tornare ai suoi studi classici, in ogni caso apprezzati da Rimbaud. Da qui nasce i seduti: una vendetta nei confronti di quel vecchio "barbagianni" brontolone che sembra far l'amore con la sedia.

I Seduti - Arthur Rimbaud

Neri di cisti, butterati, gli occhi cerchiati di verde,
le dita gnoccolute rattrappite sul femore,
il sincipite cosparso di repellenti bozzi;
come le infiorescenze lebbrose dei muri vecchi,

hanno innestato in amori epilettici
la bizzarra ossatura agli scheletri neri
delle sedie; i loro piedi s'allacciano
a quei pioli rachitici, mattina e sera!

Questi vecchi si son sempre intrecciati alle lor sedie
sentendo i soli ardenti lucidargli la cute,
o, con l'occhio fisso al vetro dove fondono le nevi,
tremando col doloroso tremito del rospo.

E le Sedie usano loro dei favori: patinata
di bruno, la paglia cede ai lati delle reni;
l'anima dei vecchi soli si riaccende, racchiusa
in quelle trecce di spighe dove fermentava il grano.

Ed i Seduti, coi denti alle ginocchia, verdi pianisti,
tambulerrando colle dita sotto la sedia,
si ascoltano sciabordare tristi barcarole
e i loro testoni dondolano in un sentimentale abbandono.

- Non li fate alzare, per carità! È una tragedia...
Sorgono brontolando come gatti puniti,
aprendo le scapole lentamente e con rabbia;
i pantaloni sbuffano sui sederi rigonfi.

E poi li sentite picchiare le teste calve
sui muri scuri e strascicare i piedi,
i loro bottoni sono delle pupille selvatiche
che vi arpionano lo sguardo dal fondo dei corridoi!

Inoltre hanno una mano invisibile che uccide:
al ritorno il loro sguardo filtra il nero veleno
che offusca l'occhio mesto della cagna bastonata,
e voi sudate, stretti in un atroce imbuto.

Si risiedono, con i polsi che navigano negli sporchi polsini,
e pensano a chi li ha fatti alzare,
e, da mattina a sera, grappoli di bargigli
s'agitano da morire sotto i menti sparuti.

Quando l'austero sonno abbassa le loro visiere,
sognano, con la testa sul braccio, di fecondare sedie,
veri amorini di seggiole neonate
che circondino altere scrivanie.

Fiori d'inchiostro, sputando pollini a virgola,
li cullano, accoccolati sopra i calici
come un volo di libellule sull'orlo dei giaggioli.
- E il loro membro s'irrita con le spighe barbute.


Versione Originale

Les assis - Arthur Rimbaud

Noirs de loupes, grêlés, les yeux cerclés de bagues
Vertes, leurs doigts boulus crispés à leurs fémurs
Le sinciput plaqué de hargnosités vagues
Comme les floraisons lépreuses des vieux murs ;

Ils ont greffé dans des amours épileptiques
Leur fantasque ossature aux grands squelettes noirs
De leurs chaises ; leurs pieds aux barreaux rachitiques
S'entrelacent pour les matins et pour les soirs !

Ces vieillards ont toujours fait tresse avec leurs sièges,
Sentant les soleils vifs percaliser leur peau,
Ou, les yeux à la vitre où se fanent les neiges,
Tremblant du tremblement douloureux du crapaud

Et les Sièges leur ont des bontés : culottée
De brun, la paille cède aux angles de leurs reins ;
L'âme des vieux soleils s'allume emmaillotée
Dans ces tresses d'épis où fermentaient les grains

Et les Assis, genoux aux dents, verts pianistes
Les dix doigts sous leur siège aux rumeurs de tambour,
S'écoutent clapoter des barcarolles tristes,
Et leurs caboches vont dans des roulis d'amour.

- Oh, ne les faites pas lever ! C'est le naufrage...
Ils surgissent, grondant comme des chats giflés,
Ouvrant lentement leurs omoplates, ô rage !
Tout leur pantalon bouffe à leurs reins boursouflés

Et vous les écoutez, cognant leurs têtes chauves
Aux murs sombres, plaquant et plaquant leurs pieds tors
Et leurs boutons d'habit sont des prunelles fauves
Qui vous accrochent l'oeil du fond des corridors !

Puis ils ont une main invisible qui tue :
Au retour, leur regard filtre ce venin noir
Qui charge l'oeil souffrant de la chienne battue
Et vous suez pris dans un atroce entonnoir

Rassis, les poings noyés dans des manchettes sales
Ils songent à ceux-là qui les ont fait lever
Et, de l'aurore au soir, des grappes d'amygdales
Sous leurs mentons chétifs s'agitent à crever

Quand l'austère sommeil a baissé leurs visières
Ils rêvent sur leur bras de sièges fécondés,
De vrais petits amours de chaises en lisière
Par lesquelles de fiers bureaux seront bordés ;

Des fleurs d'encre crachant des pollens en virgule
Les bercent, le long des calices accroupis
Tels qu'au fil des glaïeuls le vol des libellules
- Et leur membre s'agace à des barbes d'épis
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domenica 12 settembre 2010

Spettacoli e pubblicità non occulta.

Cosa fare una domenica sera di fine estate, dopo essersi goduti le vacanze, distratti, abbronzati, dimenticati del mondo circostante? Cosa fare per esorcizzare il ritorno, tra lavoro polemiche politiche e reality show che si riprendono l'angoscioso posto nelle coscienze da salotto? Si chiude tutto e ci si prende un'ora di libertà. E un'ora di libertà è quella che si prenderà Claudio Miani: al Sinergy Art Studios (via di porta labicana 27, Roma) va in scena "La mia ora di libertà", di e con Claudio Miani. Cosa aspettarsi? Chi può dirlo. Provate a fare un giochino: immaginate questo governo, immaginate la crisi, immaginate pupazzi da piccolo schermo, il trush televisivo. Immaginate ora che voi, stufi di tutto questo, possiate prendervi un'ora per dire quello che pensate e dirlo liberamente; un'ora per togliersi sassolini, un'ora per liberarvi delle maschere e delle resistenze. Un'ora per tirar fuori tutto quello che avete in corpo e poi dire: ecco, ora mi sento meglio. Probabilmente è l'ora di libertà che il vostro dirigente di partito non vorrebbe mai farvi ascoltare. Appunto per questo stasera, una domenica di fine estate, mentre oscillanti vi angosciate tra politica e reality, prendetevi un'ora di libertà anche voi.
Il biglietto ha un costo ridotto di 5€ e l'incasso sarà devoluto all'associazione onlus L'AFRICA CHIAMA per l'affiancamento del progetto ASILO NIDO KARIBUNI WATOTO. Un motivo in più per andarci. Info e prenotazioni: tel. 06.89538915 – 328.7133184.

Sempre al Sinergy Art, tra settembre e ottobre partiranno numerosi corsi (Regia Cinematografica; Sceneggiatura Cinematografica; Critica Cinematografica; Officina di Scrittura Creativa; Atelier di dizione; Fotografia digitale di base; Teatro per bambini; Laboratorio di narrazione; Inglese per bambini; Inglese per adulti; Corso di Hatha Yoga; Corso di Training Autogeno; Corso di Tecniche di rilassamento.) Nello specifico segnalo due lezioni gratuite che si terranno sabato 18 alle 17 e lunedì 20 alle ore 21. La prima lezione riguarda un labotorio di improvvisazione urbana che avrà durata di circa 4 mesi e alternerà lezioni al chiuso e all'aperto; la seconda invece, è la prima lezione del Biennio Accademico di I° livello dell’Accademia di Recitazione “Piccolo Teatro dell’Assurdo” (con attestato finale). Il corso avrà una durata di 9 mesi. Entrambi hanno un costo di 50 euro mensili.
Per maggiori info: Sinergy Art


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sabato 11 settembre 2010

Notte

Groviglio di me
di nessuno
Assenza.

Palpitante luna
lungo i margini
e un'anima sola
su riflessi di stelle
traballante.

Matteo Di Stefano
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martedì 7 settembre 2010

Odori

Ogni angolo nasconde un respiro
in qualche fessura.


L'alto letto
il divano
lo scrittoio

Non ci sono
zone franche.

Dai laghi
alle città
rimembranze

Non ci resta
che il mondo.

Matteo Di Stefano
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