lunedì 22 marzo 2010

Riflessi di bordo(1): Verso una quasi forma

Giro di boa. Avevo iniziato dicendo che non volevo e non sapevo impostare un blog a senso unico. Ora queste pagine si vanno piano piano delineando e, sebbene non si possa dire che l'argomento sia unico, è possibile individuare un'ossatura generale.
Allora anch'io, creatore ed ideatore di questo spazio, mi ritrovo già affezionato ai suoi contenuti, che si fanno via via esclusivi.
Finora gli argomenti affrontati sono stati teatro e poesia. Ciò fa si, che questo spazio diventi fortemente luogo dedicato all'arte. Eppure un artista attinge dalla vita, ciò che esprime lo esprime rielaborando ciò che è la sua percezione del mondo esterno. Allora perché non pubblicare anche news politiche, notizie varie, esprimere idee proprie riguardo a temi importanti come l'ecologia, l'ambiente, l'economia?
In prima istanza perché ciò che finisco per pubblicare, che sia essa una poesia o una recensione di uno spettacolo teatrale, rispecchia in qualche modo ciò che sono.
In secondo luogo perché non mi va di sporcare, non mi va che il navigante affamato di arte, di rigurgiti poetici, si trovi imbarcato in polemiche sul quale può anche non essere in accordo. Voglio che si trovi solo in questo oceano; come se questa fosse una zattera da dove esiliarsi un pò dal tempo. Una sorta di nontempo che non ha però il sapore dell'esilio. Un nontempo che non vuole allontanare, che non rappresenta una via di fuga, bensì, un nontempo di "ricarico". Attraverso questo esilio perdersi un pò, scavare in se stessi e guardare dall'alto i fuochi quotidiani. Per questo non voglio target politici o ideologici. Voglio un lieve adagiarsi dell'errante viaggiatore; non voglio che esclami giusto o sbagliato, ma che semplicemente sospiri un po' e rifletta prima di ripartire.
In ultimo, semplicemente non voglio un pasticcio di tutto un po'.

Allora ecco una prima cernita:
poesia: Sì
teatro: sì
musica e altre arti: Sì
Eventi culturali: Sì
Politica e quotidiano: NO

Altre riflessioni: probabile. E per riflessioni intendo quelle piccole domande che di tanto in tanto passano nella mente di un uomo. Riflessioni che pur tuttavia voglio che rimangano su un piano puramente concettuale, punti d'arrivo soltanto per nuove domande. Quindi non ci sarà spazio per "Tizio è bello e intelligente, Caio è brutto e stupido" ma semmai "come e perché si può definire bello, come e perché si può definire brutto".
L'intenzione è buona, vedremo se e quanto riuscirò in questo intento.
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mercoledì 17 marzo 2010

Le signorine di wilko.


Veleggiava il nome di Nekrosius in platea. Molti hanno affiancano il 44enne lettone Alvis Hermanis, al più datato e noto Eimuntas Nekrosius, regista lituano dalle grandi doti creative e visionarie. La sensazione all'uscita è che si siano tradite le attese. E non di poco. Se ne parla un gran bene di questo regista, specialmente per ciò che ha prodotto in passato. Per la prima volta si confronta con attori italiani; per la prima volta vado a vederlo. Il motivo per il quale mi trovavo lì, era principalmente il voler osservare da vicino questo regista che mi aveva incuriosito da un'intervista.
Il metodo di lavoro, ciò che comunica, il modo con il quale lo fa. Soprattutto il suo lavoro con gli attori attraverso la tecnica improvvisazioni.

Hermanis parte dal romanzo dell'autore polacco Jaroslaw Iwaszkiewicz per un adattamento non certo facile. Wiktor Ruben fa ritorno a Wilko, luogo dove aveva trascorso alcune estati. Studente universitario, si intratteneva con le sei giovani figlie di una famiglia aristocratica proprietaria di una fattoria, alle quali faceva da insegnante. Ritorna dopo 15 anni. Nel mezzo ci sono la Grande Guerra e il fallimento delle giovanili ambizioni. Lo spettacolo è incentrato sul tema della memoria di Wiktor; sembra quasi che il tempo non sia passato davvero, tutto è come quindici anni prima, soltanto poco più giallo.

Le premesse erano importanti, ma la rappresentazione non è stata all'altezza, ad iniziare dal punto di partenza: l'adattamento. Mal riuscito; il linguaggio poetico del testo originale si è trasferito sul testo teatrale, senza però mutazioni che lo rendessero idoneo al mutato contesto comunicativo. Inoltre, il racconto viene svolto alternando un racconto in terza persona a momenti interpretativi: gli attori si trovano ad essere prima narratori neutri e poi personaggi viventi creando un appesantimento, un distaccamento che non fa entrare a pieno negli ingranaggi della storia. La recitazione procede lentamente, quasi monotona, non cattura, non ha sussulti. Le uniche emozioni potrebbero venire dalle immagini, dalla forza creativa di costruire una rappresentazione simbolica. Ma molte immagini sono pompose e forzate, artificiose e meccaniche, risultando per lo più fini a se stesse (a parte rare eccezioni). Così gli attori, tra un quadro ed un altro, si ritrovano ad essere servi di scena in maniera meccanica. Manca la linearità tra la costruzione e la recitazione dell'attore. Tutto è mirato alla costruzione dell'effetto e ci si dimentica del ruolo fondamentale di coloro che sono sul palco. Forse era per dare un movimento; questo però non si è percepito e lo spettacolo sarebbe risultato buono più per un servizio di Vogue, che per un pubblico affamato di emozioni.
Le immagini sono vuote, non hanno l'impatto forte che dovrebbero avere e ad esse viene sacrificato il lavoro degli attori. L'evoluzione scenica dovrebbe essere un continuum, non rappresentare una fase di distaccamento tra una scena e l'altra; era come se mancassero i raccordi e i nodi di collegamento. Così, la bellezza visiva del fieno, delle alte vetrate mobili e degli effetti scenici creati è andata perduta. L'occhio ha apprezzato ma non si è sfamato. Così come il tema del ricordo, della memoria, che è stato appena solamente percepito. Non se ne sentiva l'odore, l'angoscia, il terribile peso dell'irreversibilità.

Giudizio complessivo: 5
Il resto del pubblico: ho visto qualcuno alzarsi nel mezzo della rappresentazione. Molti non hanno applaudito o applaudito timidamente.
Visto al: Teatro Argentina (Roma), 14-03-2010

Informazione spettacolo:
LE SIGNORINE DI WILKO
dal romanzo di Jaroslaw Iwaszkiewicz
adattamento e regia: Alvis Hermanis
coreografia: Alla Sigalova
scene: Andris Freibergs
costumi: Gianluca Sbicca
luci: Paolo Pollo Rodighiero
con: Sergio Romano, Laura Marinoni, Patrizia Punzo, Elena Arvigo, Irene Petris, Fabrizia Sacchi, Alice Torriani
produzione: Emilia Romagna Teatro Fondazione, Programma Cultura dell'Unione Europea nell'ambito del Progetto Prospero, Teatro Stabile di Napoli, Nuova Scena Arena del Sole - Teatro Stabile di Bologna
durata: 2h 20'


Altre date:

Prato:Teatro Metastasio dal 24 al 28 marzo

Pordenone: Teatro Giuseppe Verdi 30 e 31 marzo

Brescia: Teatro Sociale 6 e 7 aprile

Cesena: Teatro Bonci dall’8 all’11 aprile

Perugia: Teatro Morlacchi dal 14 al 18 aprile

Correggio: Teatro Asioli 20 e 21 aprile

Chiasso(Svizzera): Teatro di Chiasso 22 e 23 aprile

Catania:Teatro Ambasciatori dal 21 al 23 maggio

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lunedì 15 marzo 2010

In punta di piedi


"Non dormivo, ma erano pensieri belli"

Sono entrato esitante nel tuo tempio Mia Dea
come entrai dalla finestra d'una tua vecchia dimora
percependo appena profumo di rose e velate beltà
quel poco che di te bastava a farmi inebriare.

Ai miei curiosi occhi sempre restava aperta
ogni tanto tornando lucidavi vecchi mobili
dallo specchio un'occhiata veloce diceva attento
lasciandomi ad osservar la polvere coprir le impronte.

Sono entrato quasi arrossendo al tuo cospetto
non mi fermai nemmeno un poco alla finestra
m'aspettavi alla porta e mi facesti entrare
avvertendo che ortiche fiorivano in giardino.

Sono entrato sradicando ortiche a mani nude
che nemmeno un poco si fecero rosse e dolenti
perché troppo, troppo rosso era il desiderio
ma tu le hai baciate ugualmente le mie mani.

Sono entrato esitante nel tuo tempio Mia Dea
trovai forza e coraggio ma dovetti ripartire
e tu Beltà vivente attraversando il giardino
-visto? una margherita è già sbocciata dicesti

di Matteo Di Stefano
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mercoledì 10 marzo 2010

Minima attesa in 4 versi


Respira intensamente questo sonno
misurerò da un vetro appannato quanto sia profondo
disegnando figure imperfette aspetterò che si spanni
non per pazienza ma perché ti capisco.

di Matteo Di Stefano
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lunedì 8 marzo 2010

Un lago una notte d'inverno


S'udiva il solo infrangersi delle onde
ritmato lieve cadenzato nella vallata
assopita in magie e silenziosi cristalli
prolungamento dell'incantato nontempo.
Il lago, una nera macchia solo udibile
fattosi specchio di gelide stelle d'inverno
inghiottiva sospiri fantasie corpi ansanti
frementi alla ricerca di braci ardenti
a tratti scintille appena visibili
a tratti fuochi inneggianti Apocalissi.

Spingevano in profonde eternità liquide
quel ch'era di quei moti luccicanti
giù, più giù, in-inviolabili segrete
mutandone l'esistere in brumose leggende
storie da custodire e narrare ai passanti
malinconici smaniosi dall'onde udirne i canti.

Non ricordo nemmeno se fosse ieri oggi
quando s'è passati dal giorno alla notte
dal buio alla luce d'un sole mercante
di tepore per trepidanti piedi intirizziti.
Si sono infranti i suoi raggi, su scudi
condensati e liquidi di vetri opachi
porte del tempo di dentro e di fuori
schermi al nulla per nulla insignificante.
E non è stata letta neanche una poesia
l'aria, intorno, n'era già colma a sazietà.


di Matteo Di Stefano
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lunedì 1 marzo 2010

Baliani e le favole


13 erano gli ingressi che mi restavano sulla mia carta teatro. 12 quelli che rimangono. Avrei voluto 11. Mi ero prefissato una giornata piena di teatro. Uno spettacolo alle 18.00 ed uno alle 21.00 al Teatro India di Roma. Entrambi di Marco Baliani. Il rpimo, Piazza D'Italia, adattamento di un romanzo storico di Antonio Tabucchi che la critica definiva imperdibile; l'altro una favola, un'ora di teatro di narrazione attraverso le avventure di Frollo, un bambino di pasta frolla figlio di due pasticceri senza figli in carne ed ossa. Una sorta di Pinocchio dei giorni nostri, ma per nulla scopiazzato. Tutt'altro. Ahimé, il primo era tutto esaurito, anche sulle mie amate scale. Neanche un posticino per uno smilzo come me. Fortuna che c'erano ancora biglietti per Frollo. Così, mi sono visto Frollo che inizialmente doveva essere l'extra della giornata. Parto sempre con notevoli pregiudizi quando si tratta di teatro di narrazione. Poi entre e in un attimo vieni catapultato in un mondo di fiaba. Lui, solo. Marco Baliani (lo stesso Baliani che vidi a "la notte delle lucciole") seduto su di una sedia a narrare senza mai alzarsi. Mimando, facendo smorfie, cambiando la voce, rattrappendosi, gonfiando il petto a seconda del personaggio che si incontrava. Tutto rigorosamente seduto. Per nulla statico e noioso però. Primo perché Baliani riusciva a trascinarti con la sua narrazione in un universo di fantasia; secondo perché vedere uno spettacolo di narrazione è un po' come leggere un libro. Così, si viene catapultati su una spiaggia, in una festa popolare, una pasticceria, si immaginano le facce dei personaggi, l'ambiente, gli odori, i colori. Però anziché leggere ascolti. Un movimento continuo, da un avventura all'altra del piccolo Frollo. Molto molto emozionante. Le fiabe ci danno molto. Forse, una volta grandi, dimentichiamo di raccontarci delle fiabe. Dovremmo farlo più spesso, perché non sono solo storie inventate da raccontare a dei bambini, ma piccole perle, insegnamenti da custodire. Le fiabe aiutano a crescere i bambini, ma sono scritte per i grandi. Allora ogni tanto facciamolo, prendiamo un libro e raccontiamoci una fiaba. Ci aiuterà a credere e immaginare un mondo diverso. Perché non è altro che questo una favola, la rappresentazione di una realtà diversa, migliore. Ci fa sorridere, ma anche sperare. Ed oggi di speranza ne abbiamo davvero bisogno.
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Intervento di autobenvenuto





Aprire la prima finestra di un nuovo blog è come entrare in una nuova casa. Dovrai fare amicizia coi nuovi vicini, abituarti ai rumori, gli odori della zona. Nessun problema di fondo se non come presentarsi. Ma forse saranno gli stessi abitanti della zona a farsi avanti, le amabili vecchine ti porteranno i dolcetti, le seducenti mogli annoiate ti inviteranno per un drink. Inizierai a far parte del quartiere poco a poco. Così è ovunque. Persino su una rete virtuale; così sarà per questi riflessi sfumati che altro non sono se non la parte più marginale, quel che di volta viene a galla di un fondo assai più ricco di pensieri, talvolta inesprimibile.

Voglio aprire un nuovo blog. Questo mi dicevo. Molti si specializzano, trattano un argomento in particolare. Anch'io ci ho pensato. Bene. Potrei parlare di teatro? Potrei pubblicare poesie? Parlare del più del meno di questi strani tempi o di altre cose, più o meno sensate che mi girano in testa? Come si fa, come si fa dico io a prendere una direzione chiara, netta, inevitabilmente lineare. Non sono mai stato troppo costante, e tra le tante cose che possono interessarmi una in particolare non riesco proprio a preferirla. Troppo curioso di scoprire, indagare lo spazio circostante in tutte le direzioni; meglio i riflessi, tanti, marginali, superficiali. Ciò che di volta in volta viene a galla, da se. Questo è tutto. O quasi. No, non tutto, solo una piccola parte.
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