mercoledì 10 agosto 2022

Messaggio da un universo parallelo.

Cara Marti, 
prendo la parola da questo mondo sopito. Questo è il mio vero universo parallelo, il mondo nascosto in cui acquistano forma e sostanza anche cose che mi spaventano, dove anche azzardo quei passi mai osati nella vita. Da qui ti parlo, perché è un universo innocuo, dove anche i pensieri più arditi possono vivere senza il filtro della realtà che spesso ci spaventa. "Qual è la cosa giusta?" chiedi, "Qual è il mondo giusto?" mi chiede Marta. Due domande simili, che ci portano allo stesso stallo: e se fosse sbagliato? E allora si ricacciano pensieri, si addormenta l'istinto in favore di un errore che è meglio non commettere. Mille volte abbiamo commesso quell'errore di valutazione e mille volte abbiamo fallito, allora perché non tenersi così com'è quell'unica cosa che sembra non essere un errore. Perché non lasciarla nella sua bolla di cristallo? Perché non lasciarla vivere eternamente in quell'equilibrio delicato tra il dentro immaginario e il fuori della realtà? Eppure ogni tanto ci ho pensato a fare un salto fuori dalla bolla, perché è inevitabile chiederselo a un certo punto del cammino. Perché quando senti che il dolore dell'altro è anche il tuo dolore, hai voglia di diventare il custode della gioia. A un certo punto diventa inevitabile farsi queste domande, poi subito mi do' un pizzico per rimproverarmi, ma poi me lo chiedo di nuovo. L'universo si espande e forse lo fanno anche gli universi paralleli, al punto che a un certo punto i due universi arrivano ad occupare lo stesso spazio e porsi le stesse questioni. Ci ho pensato, molto. E ieri che hai parlato alla mia anima in modo inaspettato ho vissuto per un paio d'ore in entrambi gli universi e ci ho pensato ancora più intensamente. Non so davvero dire se è giusto pensarci, posso dire solo che questo pensiero mi attraversa ogni tanto, quando l'affetto cerca una via di fuga per rivelarsi in tutta la sua grandezza e mi invita a fare un giro fuori da quella bolla di cristallo che ci protegge. Forse un giorno avremo davvero la forza e il coraggio di passeggiare fuori da quella bolla perché saremo maturi e forti abbastanza da sapere rimanere comunque fedeli a noi stessi, così consapevoli da saperne ridere insieme, così resilienti dal non farci mutare dagli eventi, così saggi da aver oltrepassato addirittura il concetto di giusto e sbagliato. Al momento passeggio qui, sul terreno innocuo del mio spazio immaginario, il punto di incontro di tutti gli universi possibili, dove contemporaneamente riusciamo ad essere tutto e il contrario di tutto.

Grazie per quello che sei. Ti voglio bene. 

Ale
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domenica 17 maggio 2020

Ciò che ero per amara necessità

Dicevo. Il vomito. Quella parte rivoltante di un eclatante rifiuto. Ciò che ero io non lo scelsi, non lo volli, eppure con tanta impavida rivolta lo diventai. Il mondo non m'apparteneva ed io non appartenevo ad esso. Tanto che ci separammo una notte. Danzavano luci, polveri libravano ad ogni afflato mentre corpo prendeva un impossibile reale più reale di ogni reale. Del mondo io non scelsi nulla, se non la via d'uscita. Lo strappo estremo di un'anima vagante che per uno strano scherzo trovò un sollazzo nell'andirivieni. 

Ciò che ero io lo fui per caso. Di ciò che non ero ne fui il carnefice. Feci a pezzi ogni brandello di quel mantello con cui mi avvolsero il corpo esile e terribilmente fragile. E d'ogni cosa io scelsi il nome, ad ogni cosa reinventai i colori, ad ogni cosa io diedi una nuova forma. E quel nuovo mondo, a mia immagine e somiglianza, aveva la parvenza di un paradisiaco inferno dove poter morire tra spasmi di felicità. Un reale più reale di ogni reale. Un reale dove non v'è possibilità per il reale. 

Ciò che ero io lo vomitai. E lo vomitai perché non avevo altri strumenti per esprimermi. E presi corpo, salvandomi. Sfuggito alle fauci di un mondo che mi aveva accolto nonostante i miei rifiuti. Nonostante i miei scalpitii. Nonostante. Così ci accordammo per un compromesso: dammi un mondo laddove il mondo non può entrare. 

Ciò che ero prese forma in un buco nero. Non parlammo forse a lungo dell'oblio? Stanne fuori mondo. Stanne fuori. Per il tuo equilibrio ed il mio, stanne fuori. Lascia che io navighi senza preoccuparmi degli orientamenti, lascia che io navighi dimenticandoti. Stanne fuori, stendi i tuoi tentacoli su altre rivoltanti carcasse che non siano la mia. 

Ciò che ero lo fui con rabbia. Inesplosa, intimamente violenta. Fu la necessità di vendere un sorriso mentre cercavo di detonare una bomba, mentre il tempo m'inseguiva ed io sapevo correre più lesto. Mi stracciavo le vesti e tamponavo le emorragie del mio viaggio non privo di imprevisti. Mi staccavo le unghie a morsi mentre scalavo arcobaleni. Non fu facile vincerti, ma ti vinsi. 

Ciò che ero, lo sono ancora. La sveglia non suona mai impunemente. Stanne fuori. 
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giovedì 11 maggio 2017

Crisi d'identità di un blog

Una volta ero un blog. Cioè, una volta non ero niente. Cioè, ero un dominio: blogger. Poi sono diventato un sottodominio. Sì, insomma, nacqui. Così presi vita, un grumo di byte informi che si è moltiplicato per uno strano fenomeno autoriproduttivo. Non si sa bene cosa fossi; a dire il vero non lo so nemmeno ora. Per un qualche tempo sembrava avessi una forma, molti capitavano qui e ci si poteva sentire seduti in un teatro. Tra una platea ed un'altra, ogni tanto pifs!, soleva uscire uno schizzetto, una sbavatura sfocata di mondo. Così anche io ho potuto scoprire - in un modo molto strano - cosa gli umani, miei creatori, vivessero quotidianamente. A dire il vero non è che ci ho capito tanto: è tutto un po' confuso, sembra che un po' l'autore si diverta a camuffare, a mischiare le carte, e bididi bodibi bu, plaf plaf un battito d'ala per nascondersi in alto e frooom, un volo in picchiata verso il terreno e hoplà, scomparso di nuovo. Così un po' si è divertito a lasciare graffiti digitali sul mio corpo un po' deforme. Pian piano le cose cambiano, il silenzio diventa il mio testamento. E i teatri? Niente, non più. Ogni tanto lui riappare, livido in volto o estremamente e grossolanamente in preda ad una strana estasi. Lo sento che ormai sono un blog da una botta e via, infatti il nostro rapporto è freddo. Lui fa il login, digrigna i denti, canticchia, picchietta freneticamente le dita mentre un sottofondo musicale mai soddisfacente lo accompagna. E tichete tichete ta, picchietta picchietta il nostro minatore di parole senza sapere cosa da quella miniera riuscirà a recuperare. Poi clicca su pubblica, chiude senza neanche condividere sui social: io che sono un blog! Così, ogni tanto, lui mi usa, come una bottiglia da lasciare nell'bit-oceano conscio che qualcuno prima o poi digiterà "bidibi bodibi bu" su google. Ma il punto è questo: ero un blog. Cioè, non ero niente... vabbè, volevo dir... sì, insomma io.. vorrei dire.. che.. sì.. ecco, sì, ecco... vedete? Non mi fa parlare! ... Non nnn.... nn..

Tu sei, tu sei..
Grumo
di parole
rigurgito
la scolatura del vino
ciò che resta depositato
l'informe che ha forma
il riverbero dell'estasi
lo sciame sismico
vibrazione di vita
rimasta nell'aria
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L'importanza di non chiamarsi Matteo

Matteo è il mio nome.
Matteo è il suo nome.
Matteo non esiste.
Matteo resiste.
Matteo perisce.
Matteo lenisce.

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Breve rigurgito

Monk non conosceva quella parola, distante milioni di passi com'era. L'urlo di quell'animale lo avrebbe terrorizzato anche a distanza se solo l'avesse udito. I decibel creavano un guscio di suono e nessuno poteva udire quello schiacciante scricchiolio. L'anima nessuno l'ha vista, ma quando si sgretola ha un suono terrificante dicono gli esperti. Riempie il cielo, gli animali scappano, i sacerdoti escono dalle basiliche per invocare la grazia di Dio e danno l'estrema unzione al mondo. Scricchiolii. Terrificante è il suono di un'anima che si schianta. Amen. Mentre nel guscio milioni di particelle umane, di nuvolette di fumo e sudore si mescolano in un nuovo processo chimico creando buchi neri attraverso i quali si varcano porte di nuovi universi. Gogo Jenny, corri anche incontro a quelle porte che si dissolvono. I vortici richiamano a sé i più deboli che diventano aria. Ansimante. Vibrante. L'eterno è un gioco troppo pericoloso per poterlo sfidare col pensiero; meglio sarebbe attaccare alle spalle la razionalità. - E il tuo fluire? - Procede a stento, caro Monk. Un momento navigo, un momento mi fermo a guardare le istruzioni. - Ecco: vedi quell'iceberg? È proprio questo il fluire: lasciarsi andare contro l'iceberg.
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Into the Night (Xiu Xiu)

Lacerazioni,
un modo come un altro
per sanare l'insanabile
vuoti a dismisura
espansione

A dismisura
espansione di un salto
verso lacerati vuoti
un altro modo
per sanarsi

Vuoti
espansi
altro modo insano
per lacerarsi
a dismisura
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mercoledì 10 maggio 2017

Nostalgie

Nostalgie di tempi andati, mai vissuti
Nostalgie di canzoni mai udite
Nostalgie della nostalgia
Nostalgie di brividi provati e da provare
Nostalgie di viaggi, di pianeti, di cieli
Nostalgie di città troppo illuminate
Nostalgie di utopie da realizzare
Nostalgie di utopie mai realizzate
Nostalgie di balli in piena notte
Nostalgie di spensierati sogni
Nostalgie di Chopin
Nostalgie di spiagge e libertà
Nostalgie di cose da dire
Nostalgie di parole strozzate in gola
Nostalgie di fogli sporchi di pochi versi
Nostalgie di cose che accadono
Nostalgie di meraviglie e cose belle
Nostalgie di quando era facile
Nostalgie di un sentire perduto
Nostalgie di un pianoforte
Nostalgie di note dell'anima
Nostalgie di lasciar accadere
Nostalgie di sarebbe facile
Nostalgie di tempi senza paura
Nostalgie di fiori colti e da cogliere
Nostalgie di paesaggi in cui perdersi
Nostalgie di quant'era bello la sera
Nostalgie di tienimi stretto
Nostalgie di felici calici
Nostalgie di rapporti umani
Nostalgie di umani
Nostalgie umane.
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domenica 5 febbraio 2017

Reincarnazioni

(nell'immagine un dipinto di Jacek Yerka)


Sogno mari del nord, gelidi, ritempranti
Sogno derive, turbinii e poi quiete
Sogno onde funeste
Sogno sirene
Sogno di avere le branchie
Sogno isole
Sogno approdi solitari
Sogno capanne
Sogno scritte cancellate dal mare
Sogno messaggi in bottiglia
letti da chissà chi
chissà dove

Post-Matteo
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venerdì 20 maggio 2016

Terza guerra mondiale | #poesia



Accompagnamento musicale consigliato:

 Tacerò, ininterrottamente
lascerò che qui marcisca
ogni stupida idea, silenzio
ne sarò il Re, come Arthur
- mio gemello di sconfitta -
muri alti, impenetrabili
senza possibilità d'attacco.

Il processo di pace, Addio
armistizi: siamo in guerra!
Lontani! Lontani vi dico!
Invasori della mia terra
qui si spara, lasciatemi!
Non tentatemi, lontani
o tra le lacrime io sparo!

Io non conosco  Amore
di che parliate non so,
Poesia? Fiori? Sbagliate
mai da questo cuore uscì
altro da violenza o guerra
dell'amor facciamo a meno.

Conosciamo i vostri giochi
rimuovere da noi difesa
è lasciar che si saccheggi,
ai vincitori il cuore, a noi
il dolore: conosciamo, via!
Via, pria che il sole schiuda
ai vostri occhi il volto stanco
fragile di chi porta il peso
d'una maschera. Già s'apre
lo spiraglio alla bontà, via
noi siam duri, siam soldati
non tremiamo ma colpiamo.

Colpo e fuga sotto viscere
frementi, la terra che trema,
un bel tramonto l'atomica
sganciata, i corpi son cenere
v'amai, un giorno, v'amai:
ora son soldato, dio di morte
bacio commosso le spoglie
vostre come mie, magari
nell'eterno giro ci vedremo
ancora, in un mondo nuovo
ci ameremo, ma non ora
non ora...

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lunedì 18 aprile 2016

Baciami le nocche (più contenuti speciali)


A volte siamo costretti ad essere ciò che non siamo
A volte essere veri, duri ma giusti, è come essere morti
A volte vedono in te la grandezza ma a nessuno interessa
A volte gli inutili barbari saccheggiano ciò che sarebbe tuo
A volte, 
Sticazzi!

***

Dunque questo è il luogo di coatti, sbruffoni, arroganti? 
È dunque questo il luogo dove solo regna chi è stronzo? 
E quando sarà il luogo delle anime gentili ma inflessibili 
dei romantici, degli eleganti, degli umili, dei sapienti? 
Quando la bellezza vincerà sull'irriverente montatura? 
Quando saremo amati senza fingerci teste di cazzo? 
Questo è il mio gentil pugno: baciami le nocche! Così?
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